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Il popolo hobbit d’Appennino

Al riparo dal vento gelido, appena dopo il tramonto, nella rocca di Campofilone, Cesare Catà legge e commenta brani di JRR Tolkien. È il giorno di San Patrizio. Nel crepuscolo, oltre le mura, lo sguardo vola sopra la Terra di Marca, si concentra sulla candida maestosità del Gran Sasso e poi si sposta verso la montagna dei Fiori, i Sibillini e la Laga.
Le montagne Gandalf, voglio tornare a vedere le montagne“.


Chissà se Tolkien conosceva l’Appennino? Nel suo viaggio in Italia l’ha sicuramente attraversato e dal Subasio, forse, il suo sguardo si sarà perso sulle cime della nostra Terra di Mezzo.
Ci sono tanti monti nel Signore degli Anelli e nello Hobbit: le Montagne Nebbiose,  le Montagne Grigie, il monte Guerrinferno, il monte Fato.
Montagne splendide e pericolose.
C’erano molti sentieri che portavano su per quelle montagne e molti passi sopra di esse. Ma la maggior parte dei sentieri si rivelavano inganni e illusioni che non portavano in nessun posto o a una brutta fine“. (1)
Eppure, se Bilbo, placido Hobbit della Contea, su quelle montagne vuol tornarci più di ogni altra cosa, un motivo ci sarà.
“Quando Tolkien racconta del desiderio irrefrenabile di Bilbo di tornare in mezzo alle montagne, scrive montagne in corsivo perché – spiega bene Edoardo Rialti – per Bilbo esse sono quella vastità non solo quantitativa, ma qualitativa alla quale il suo cuore si è spalancato nel corso di una avventura inaspettata” (2).
Gli Hobbit appaiono come il popolo meno portato all’avventura eppure, nella saga orchestrata dal professore di Oxford, sembrano essere, nella loro semplicità, coloro che più di ogni altro, amano la libertà.
La libertà dal mondo, la libertà nella Contea, ha un prezzo. Ma la libertà nel mondo, nel vasto mondo della Terra di Mezzo ne ha un altro, di prezzo, estremamente più alto.
Bisogna confrontarsi con creature spaventose, oppure orribilmente belle, bisogna saper guardare nello specchio di Galadriel, resistere alle tentazioni del potere, conservando purezza e semplicità, le armi più potenti.
Un po’ come nella leggenda del Guerrin Meschino e della Sibilla appenninica che Cesare Catà mette a confronto con il viaggio di Frodo e con il suo incontro con la Dama di Lòrien, Galadriel (3).


In questa terra di Marca gli archetipi, come per magia, s’incrociano e si fondono. Forse è proprio merito dei nostri monti di Mezzo d’Appennino, sotto i quali – evidentemente – si nascondono dei draghi irrequieti. E così accanto alle fate, sopra ai draghi, in Umbria, in Abruzzo, nelle Marche, la gente attaccata all’Appennino assomiglia tanto al popolo degli Hobbit. Siamo tranquilli, ci piace la campagna ordinata, bere, fumare e ballare. Non vorremmo affrontare l’avventura e il vasto mondo. Ma se qualcuno, o qualcosa, disturba la nostra quiete e ci vuol allontanare dalle nostre montagne, credo che saremmo pronti a metterci in gioco.
Il 25 marzo, anniversario della caduta di Sauron, come ogni anno, è stato il Tolkien reading day. Ma per chi apprezza il professore e  – allo stesso tempo –  ama la propria Contea, non c’è bisogno di una ricorrenza per avventurarsi con l’immaginazione nei suoi mondi. E per provare a difendere, nella realtà, la libertà nel proprio mondo. Contro draghi e orchi.

1)   Lo Hobbit, JRR Tolkien, Edizioni CDE, 1987 – pag. 57
2)   Intervista di Leone Grotti in Tempi del 27.12.2012
3) “Filosofia del fantastico. Escursioni tra i Monti Sibillini, l’Irlanda e la Terra di Mezzo”, Cesare Catà – Il Cerchio

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