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Il sentiero dei sensi ridesti

Camminare e accendere i sensi. Tutti e cinque. Più altri, di conseguenza.
Ascoltare il rumore del vento che muove i rami dove stanno spuntando le nuove gemme primaverili, i versi degli uccelli, il picchio che batte sui tronchi, i cigolii dei rami.
Vedere il paesaggio in una prospettiva finalmente ampia, con la vista periferica, o in profondità, immersi nelle immagini in maniera così differente da quando siamo davanti ad uno schermo.
Sentire, sfiorandola con una mano, la ruvidezza del tronco di una quercia, o con i piedi avvertire i sassi che calpesti attraverso le suole.
Annusare il profumo del muschio, dell’aria ripulita dalla tramontana, della terra, del letame, della legna che brucia nei camini delle case di pietra mentre ci passi davanti.
Assaporare un asparago appena spuntato, la leggerezza dell’acqua di una fontana.   

Esiste davvero un sentiero dei Sensi Ridesti, ed è in Umbria, intorno a una foresta fossile tornata alla luce dopo milioni di anni trascorsi nell’argilla a Dunarobba, tra le colline, i Monti Martani e i Monti Amerini (www.forestafossile.it). Ma ogni sentiero, ovunque, se lo si percorre con cuore e mente aperti, è capace di risvegliare i sensi.

Abbiamo bisogno dei sensi ridesti, perché nella vita ordinaria, nella quale ci siamo costretti a vivere, i nostri cinque sensi sono assopiti, insieme all’umana abilità di usarli per andare oltre. Eppure basta trasformare una passeggiata nella natura in qualcosa di simile a una funzione religiosa per ridestare i sensi, per provare a percepire l’impercettibile e tornare ad essere presenti a sé stessi.

Con i sensi ridesti la prima cosa da fare è alzare la testa e guardare, quasi fosse un simbolo, il disegno dei rami delle querce che s’incrociano sopra il sentiero ad abbracciare l’infinito, delimitandolo, solo per te.

Questa religione della passeggiata, come l’altra, serve in fondo a intuire e poi a delimitare lo spazio infinito per entrarci dentro, come da una porta, senza impazzire di terrore, o di stupore. E la porta è lì. Nel verde che prorompe, nei nuovi vestiti dei monti, nella primavera che è ovunque, nel cielo disegnato dai rami, di azzurro e di nuvole bianche e scure che corrono veloci nel vento, nelle gocce di pioggia gelata che senti sulla testa, nello schiaffo della tramontana, nella ricerca dell’arcobaleno spalle al sole, nel profumo dei giacinti e della mentuccia.

Tutto è nei tuoi cinque sensi e tutto è oltre, nella dimensione del sacro che coincide con quella della libertà di camminarci dentro. 

Così, se i cinque sensi sono accesi il cammino prende spesso direzioni sconosciute: si va verso quei sentieri interrotti dei quali parlava Martin Heidegger, si va oltre, nell’ignoto, nel tempo e nello spazio, in cerca di un’altra libertà, più ampia, più profonda, come quella dell’essere che trova, in mezzo ai rovi, il passaggio sottile, per riconoscersi nei luoghi attraverso i geni che ci portiamo dentro e per riconoscere i geni dei luoghi.

I cinque sensi, i siensi come si dice in Irpinia alludendo a quelle qualità che ci rendono umani, diventano strumento di connessione, diventano chiavi.
Così è quasi incredibile come una semplice passeggiata possa darti la soluzione che mille ricerche su Google, o centomila pagine di libri non riescono a darti, connettendoti ad una rete ben più ampia e incredibilmente reale. 

Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.


San Bernardo di Chiaravalle

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