Roccaporena, la Sibilla e la santa
Bisogna stare attenti a non inciampare. Oppure no: si può correrne il rischio. Per salire ci sono 320 gradini e 120 metri di dislivello. Ma il problema non è solo questo. La questione è che più si sale verso lo scoglio di Santa Rita, meglio si vede la Grotta d’Oro lì davanti. E così a Roccaporena di Cascia, ogni salita è al tempo stesso una discesa verso l’inconscio d’Appennino, verso la sua energia più profonda, tra il cielo e la profondità della terra, come sempre tra queste montagne. Specie laddove ci sono una grotta e una cima, una sibilla e una santa. Perciò, oltre che sui gradini, si rischia d’inciampare su una storia di fede, di pellegrinaggi, di riti, di vaticini, di miracoli, di sudore e di salite su questo scoglio, Una storia lunga almeno tremila anni.
LA SANTA DEGLI IMPOSSIBILI – Pare che Santa Rita, al secolo Margherita Lotti, moglie di un uomo assassinato e madre di due figli morti chissà come, ma comunque di una morte che servì almeno ad evitare vendette e faide, sia una delle sante cristiane più venerate al mondo. D’altra parte è la santa degli impossibili e a lei ci si raccomanda per risolvere questioni complicate, che in verità non mancano mai. A Santa Cruz, in Brasile, da poco le hanno dedicato una statua alta ben 65 metri, più grande del Cristo Redentore di Rio, praticamente di pari altezza con la Statua della Libertà di New York.
LO SCOGLIO, IL VOLO – Ma Rita, Margherita, non aveva bisogno di statue. Nella sua Roccaporena, per entrare in comunione con il suo Dio, le bastava raggiungere con fatica lo scoglio, quella strana torre naturale di pietra e di terra che sovrasta il corso veloce del fiume Corno e che dà carattere alla stretta valle. E poi magari, a Rita-Margherita capitava di ridiscenderne in volo, come racconta la sua agiografia. Però, a differenza dei voli delle streghe, il suo fu giudicato un volo santo, che la fece atterrare giusto nel convento nel quale voleva entrare.
In ogni caso quella roccia, lo scoglio di Roccaporena, è stata sempre un magnete per la fantasia e la sensibilità semplici e libere di tante generazioni. Ha attratto attenzione e esercitato fascino, come altre cime appuntite, rare in questa parte d’Appennino, ma utili sia per controllare il territorio, che per incontrare il silenzio e il divino, dimenticando per un po’ il proprio ego.
IL DESTINO NELL’ORECCHIO DI UNA SIBILLA – Forse, dunque, qualcun altro prima di Rita provò a servirsi di questo scoglio calcareo dove sembrano impresse delle impronte e sotto il quale sgorga una limpida fonte. E forse quel qualcuno era in realtà un’altra donna, una ninfa? Una Sibilla, una profetessa? Proprio di fronte allo scoglio questa domanda sembra echeggiare all’interno di una grande apertura sulla parete di roccia, una specie di enorme orecchio, una cavità contrapposta allo scoglio stesso. Questa grande cavità, oggi cristianizzata con l’apposizione di una croce di ferro che intende esorcizzarne l’antico uso, si dice fosse stata la Grotta d’Oro della sibilla, dove la profetessa ascoltava le istanze, si faceva orecchio dell’imponderabile e sibilava vaticini.
ROCCAPORRINA O ROCCAPORENA? – Qualcuno fa derivare il toponimo Roccaporena dal nome Porrina, la leggendaria ninfa Porrina. Secondo la tradizione cristiana Porrina profetizzò anche la nascita di Santa Rita, ma principalmente la ninfa-profetessa fu guaritrice, incantatrice di serpenti, capace di vaticini, pratica di erbe magiche e medicinali: qualità, saperi e poteri corrispondenti quasi esattamente con quelli della dea Angizia, che aveva casa e tempio un po’ più a Est, nel sacro bosco di Luco, nella terra dei bellicosi Marsi, in Abruzzo.
PORRIMA, TRA GIANO E CARMENTA – Porrina potrebbe corrispondere alla Porrima citata da Varrone e Ovidio come divinità paredra di Carmenta, anche lei profetessa e che secondo alcuni è la versione femminile e antesignana di Giano, con due volti, uno verso il passato e l’altro orientato al futuro. Carmenta trasmise le capacità profetiche a Porrima e a Postverta, a loro volta invocate per il parto con la testa in avanti (Porrima) e per quello podalico (Postverta).
NELLO STEMMA DI CASCIA UN REBIS E UN REBUS – Fatto sta che nello stemma della vicina Cascia, nel cui Comune si trova Roccaporena, sarebbe rappresentata proprio Porrina, incoronata e ritta: stringe con la mano sinistra un serpente, che somiglia piuttosto a un Rebis e nella mano destra tiene tre fiori che, secondo alcuni, sono il segno della predizione sulla nascita di Santa Rita, ma che, secondo altri, sono invece fiori di pollibastro e centofoglie, ricercati dagli alchimisti. E dunque tra rebis e fiori, tra profetesse e dante, siamo davvero in bel rebus!
NEL PARADISO DEL DIAVOLO – Perché qui, nelle terre dei Sibillini, tutto appare e scompare. Qui ci sono le fate e le streghe, i folletti e i negromanti, il paradiso e l’inferno, o meglio: il paradiso del diavolo. Qui scompaiono i paesi disarcionati dai colli con la forza di un drago. Castelluccio, ad esempio è scomparso. Ma sette anni dopo la scrollata del drago, a raderlo al suolo ci si sono messe le ruspe in questi giorni. Sette anni per completare la demolizione, borbottano in piazza. Ce ne vorranno altri sette per farlo ricomparire tra il Pian Grande e il Pian Piccolo.
I numeri sono importanti. Ma lo sono di più le fate, le ninfe, le sante, le curandere, le madri, quelle piccole e le grandi. I nomi poi, i nomi dei luoghi che conservano il fuoco. Così se a Castelluccio i focolari, per ora, sono spenti, a Roccaporena resta accesa una fiamma, la fiamma di Porrina/Porrima. Nella Grotta d’Oro, quell’enorme orecchio in ascolto delle domande alla Sibilla, o delle grazie chieste da chi arriva qui in pullman, e affronta l’ascesa/pellegrinaggio allo scoglio, un’eco forse sopravvive e rimbomba.
FURORE, RITO, FEDE E VISIONE – C’è ancora il fuoco sotto la cenere, la consapevolezza del simbolo, il furore da placare, lo stato di concitazione dello spirito che cerca conforto, in senso demartiniano, nella religione, nel rito, che prova a ritrovare una strada nello smarrimento di sé e del significato culturale dell’esistere? Che cerca di ritrovare l’origine, l’archetipo, il mistero, il sacro? Magari salendo con fatica e scendendo con timore…
E anche nel corso della nostra vita il vortice dell’origine resta fino alla fine presente, accompagna in ogni istante silenziosamente la nostra esistenza. A volte si fa più vicino, altre volte si allontana…ma nei momenti decisivi ci afferra e trascina dentro di sé e allora di colpo ci rendiamo conto di non essere anche noi nient’altro che un frammento dell’inizio che continua a mulinare in quel gorgo da cui proviene la nostra vita…
Giorgio Agamben
CHIEDERE L’IMPOSSIBILE – A chi chiedere le grazie? A chi chiedere l’impossibile? A chi chiedere il senso? Chi interrogare per conoscere il futuro se non la montagna, se non i luoghi straordinari della montagna che ancora esistono e resistono alla cultura globalizzante del non luogo e delle non cose?
In fondo l’unica cosa che val la pena fare, con le nostre mani, è accendere un fuoco. Specie se si stratta di un fuoco che era stato spento. Poi chi deve venire a scaldarsi verrà, e chi vuol riconoscere un’antica vecchia profetessa, una Grande Madre, magari pure santa e madre per davvero, lo può fare, seppure con il rischio d’inciampare mentre sale sullo scoglio e scende nella grotta. Ricordando sempre che s’inciampa e s’incespica quando la testa è rivolta a pensieri elevati, ma i piedi restano per terra.
Foto di copertina
📸Aerialphoto.danielemercuri