MappeMontagna madre

I paesi non sono piccoli: la lezione della curiosità Lincea

Dicono che i paesi siano piccoli. Acquasparta, ad esempio, ha un centro storico molto circoscritto seppure affascinante e caratterizzato dalla mole del rinascimentale Palazzo Cesi, sede della prima Accademia dei Lincei.

Il Duca Federico Cesi, che ne fu il fondatore quando aveva appena diciott’anni, pare fosse solito accompagnare i suoi ospiti, tra i quali Galileo Galilei, nella stanza sulla torre più alta del giardino del palazzo. Di lì potevano ammirare il cielo, il cosmo, ma anche il paesaggio circostante, magari con l’aiuto del cannocchiale, appena inventato.

Così l’orizzonte dal paese si ampliava ad abbracciare quella splendida e armoniosa campagna collinare circostante fatta di piccoli boschi superstiti della grande foresta umbra, di campi coltivati, disseminati da pievi, minuscole rocche, casolari, filari di alberi che accompagnavano e accompagnano antiche strade tracciate dai Romani. Un paesaggio bordato da arrotondate montagne, che sembrano messe lì a fare da quinta naturale, ricoperte dal verde cupo dei boschi di lecci, oppure colorate di giallo in estate dalla fioritura delle ginestre e caratterizzate dal verde più tenue dei prati sommitali, quasi a sottolineare la linea di contatto con l’azzurro del cielo, o con il candore delle nuvole.

Il Duca Cesi e i Lincei, tra i quali c’erano i primi studiosi-scienziati della natura e forse gli ultimi della magia naturale, come il napoletano Giambattista della Porta, s’interessavano di tutto quel che circondava il palazzo e le mura del paese. Cavalcavano – si racconta – alla ricerca di erbe e fiori, per studiarne e descriverne la varietà – oggi diremmo la biodiversità – e perfino del legno fossile che poi, anche qui, la civiltà industriale utilizzò per alimentare i suoi voraci fuochi e forni, attraverso le miniere di lignite. Non esitarono, i giovani Lincei, neppure a spingersi tra i resti delle civiltà che li avevano preceduti, tra le rovine di Carsulae, abbandonata città romana, o sulle cime dei monti dove si trovavano e si trovano ancora tracce dei templi più antichi.

I Lincei e il Duca Federico hanno così scoperto molte cose, evidenti e segrete, e molte altre ne avrebbero indagate, se Federico stesso non fosse morto in età ancor giovane. Il loro motto d’altronde era quel “Sagacius iste”, accompagnato dalla figura di una lince, a significare l’opportunità e la necessità di essere estremamente curiosi di tutto, attraverso una osservazione penetrante, con l’occhio di lince, appunto. Così i Lincei – pur non avendolo scritto in alcun trattato – hanno anche scoperto che nessun paese è piccolo.

Questa, in effetti, è la lezine più dimenticata di quei giovani che venivano da Roma, che avevano studiato in grandi città, che giravano l’Europa, ma che poi riuscivano a trovare il giusto modo di esercitare e soddisfare la propria grande curiosità anche in un piccolo paese.

La loro lezione vale ancora oggi: Acquasparta è piccola solo per chi non abbia occhi di lince, per chi cioè non sia mosso da curiosità, per chi non sappia rapportarsi con il genio del luogo. È piccola solo per chi pensa che il paese finisca dentro le sue mura o nei suoi stretti vicoli e non guardi invece il territorio e il paesaggio nel quale è immerso, come se si trovasse sulla tolda di una piccola nave in un mare, in questo caso, placido e ricco di affascinanti isole, nelle quali approdare è sempre un’avventura, quanto meno dello spirito.

C’è un modo per ritrovare e rianimare questo territorio, per navigarlo come fosse un mare e per ritrovarsi dentro di esso. Questo modo è il più semplice che ci sia stato dato: camminarlo. Senza aver timore di fare confronti con le passeggiate o le ascensioni dolomitiche o con quelle d’alta quota nei grandi massicci appenninici. Qui si cammina in collina, in un ambiente non ostile, ma i luoghi nascondono segreti altrettanto affascinanti e soprattutto la possibilità di spaziare tra orizzonti ampi, dove assottigliare il proprio io, esattamente come su una cima, seppur in modo diverso.

Bisogna solo lasciare andare i propri piedi – e le proprie scarpe – sul reticolo dell’antica viabilità, guidati da tracce, toponomi, impressioni, istinto.

Così si cammina tra una sorgente e un’altra, da Furapane all’Amerino, sui ponti romani della vecchia Flaminia, da San Giovanni a ponte Fonnaia, o sulla via delle Pecore sotto Macerino; tra rocchette fortificate come a Montalbano o a case Martorelli, sul Naia. Tra torrenti, fiumi e laghi – come il Lago Vecchio, che nascondono leggende e storie antichissime; tra pievi di campagna costruite sui resti di templi più antichi, come San Lorenzo in Nifili, Santa Vittorina e Sant’Eurosia protettrice dei raccolti ad Avigliano, San Michele a guardia degli spiriti dei monti sopra Acquasparta… Tra boschi e macchie dai toponimi evocativi, come Macchia Lupara; sulla linea dei castelli a difesa di questo o quel territorio, guelfo o ghibellino, a vigilare sull’antica Flaminia o sulla via Amerina e quindi sul corridoio bizantino, sui mulini e i casali abbandonati e su quelli ristrutturati, sui campi ripresi dalla natura selvatica e su quelli dove sono stati reimpiantati uliveti, vigneti, pioppeti, noceti, dove si prova a ricoltivare con spirito nuovo, ma senza dimenticare i semi antichi…

Però è proprio dove non te l’aspetti, dove perdi il sentiero che incontri lo spirito del luogo, i paesaggi più emozionanti e forse qualcuno, o qualcuna di quei trentamila geni e ninfe che secondo Varrone animavano le campagne, i monti e i boschi dell’Italia romana e preromana. Gli stessi che, magari, in altre forme, facevano voltare gli occhi dei Lincei su qualcosa che in quel momento destava la loro curiosità, e oggi la nostra.

Così Acquasparta e altri mille paesi della dorsale appenninica diventano luoghi immensi, se non perdono il rapporto con il territorio per il quale sono nati.

Le città bastano a se stesse, o almeno così pensano, e sono nate dal sogno prometeico di rappresentare il tutto. I paesi no. Anche nel loro nome, semanticamente, è racchiusa l’idea del rapporto diretto con il paesaggio e il retaggio del mondo rurale dal quale provengono. Il paese vive del proprio paesaggio, come in passato è vissuto dei prodotti dei propri campi, della legna e del carbone delle proprie montagne, della selvaggina dei suoi boschi.
Potrebbe continuare a farlo anche oggi, seppur in altri modi, con intelligenza e occhi di lince.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *