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In Sabina, tra Vacuna, Francesco e l’arcangelo Michele

I boschi, le faggete e le leccete, le grotte, le rocce, le acque sorgive, l’ampia visione di una valle come un’enorme tavola verde punteggiata dalle macchie blu e azzurre dei laghi e dei fiumi, con alte montagne a far da cornice e a stagliarsi in cieli ampi e cangianti, carichi di nuvole e splendenti di sole: così doveva apparire e così, in parte, ancora appare, la valle dei Sabini, proprio al centro d’Italia, nel suo ombelico.

La valle di Rieti da Poggio Bustone, con il Tancia sullo sfondo

Oggi, camminare tra i quattro conventi francescani della Valle Santa reatina, non è solo un modo per entrare in contatto diretto con la spiritualità francescana: è anche l’occasione per cercare di percepire una geografia sacra che pre-esisteva al francescanesimo e al cristianesimo, profondamente legata alla specificità di questi luoghi, al loro genio che tanto ispirò poi il santo di Assisi.

Francesco visitò molte volte la valle di Rieti e vi soggiornò a lungo, in diverse fasi della sua esistenza terrena. Ognuno dei santuari francescani, quello di Greccio, quello di San Giacomo a Poggio Bustone, quello di Fonte Colombo e infine quello di Santa Maria della Foresta, ne racconta un pezzo di storia. Ma in ognuno di essi molti elementi, alcuni archetipi, sembrano ripetersi e sovrapporsi, attraversando secoli e millenni, a narrare una storia ancor più antica e che scava in profondità nell’animo dei visitatori di oggi, come aveva scavato in quello dei Sabini che qui vissero, come popolo, più di duemila e cinquecento anni fa, tra i monti Sabini e il massiccio del Terminillo.

San Michele nella grotta di Fonte Colombo

Le grotte, innanzitutto, che Francesco prediligeva come elemento centrale dei suoi ritiri, che perciò vennero chiamati spechi, hanno da sempre attirato l’attenzione e la sensibilità di chi si confrontava quotidianamente con la dynamis, la potenza della natura. Nelle grotte l’acqua stillava a formare stalattiti e stalagmiti che in alcuni casi assumevano la forma di mammelle. Qui nacque il culto delle grandi madri e in Sabina quello di Vacuna, una divinità autoctona. Quel poco che se ne sa, fa di questa dea la custode di profondità sconvolgenti. A Vacuna era sicuramente dedicata la grotta del monte Tancia, sopra i santuari di Greccio e di Santa Colomba, sui monti Sabini. Qui la leggenda cristiana ha voluto e dovuto inserire la narrazione dell’intervento di San Michele e di San Silvestro a distruggere i demoni rappresentati dai riti precedenti. Ma il culto di Vacuna faceva riferimento in maniera semplice ed efficacissima, al mistero della vita, della nascita, della natività, del vuoto che si riempie, come il grembo materno e che è in grado di nutrire la vita e – forse – l’anima. La stessa storia è raccontata simbolicamente nell’antro di Morro Reatino, in questo caso vicino al santuario di Poggio Bustone, anche qui cristianizzata attraverso le figure dell’Arcangelo Michele e della Vergine Maria.

Il Santuario di San Giacomo a Poggio Bustone

Le grotte dei quattro santuari francescani sono tutte “presidiate”, prima ancora che dal santo umbro, da San Michele Arcangelo e dai Benedettini. In una di esse, in particolare, quella sopra Poggio Bustone, il giovane Francesco si ritirò e, dopo avervi dormito e meditato, ricevette la visione dell’Angelo. Nell’antichità più remota era conosciuta la pratica dell’incubatio, ovvero delle visioni divine ricevute nel sonno dormendo nelle profondità della terra, anche nelle grotte sabine, forse. A Fonte Colomba, allo stesso modo, Francesco riuscì a concepire la prima Regola francescana.

In tutto l’Appennino, non solo nei luoghi francescani, abbondano le grotte dedicate, nei secoli del cristianesimo, all’Arcangelo Michele: dall’Abruzzo alla Puglia, fino, naturalmente, a Monte Sant’Angelo nel Gargano. Un percorso quello dell’Arcangelo che ricalca in parte, curiosamente, i tratturi della grande transumanza, utilizzando anche grotte che in passato erano forse dedicate a Ercole e a Marte, cari ai pastori-navigatori dell’Appennino e difensori delle loro preziose greggi.

Ma Francesco d’Assisi, con la sua straordinaria sensibilità verso le potenze della natura, sembra in effetti aver sottolineato, evidenziandoli, alcuni dei luoghi più misteriosi, magici e attraenti dell’Appennino centrale. Così il suo passaggio guida ancora i nostri cammini e stimola la nostra sensibilità ad andare oltre. Come al Santuario della Foresta, dove prendendo un sentiero nel bosco si arriva a una cappellina isolata che sembra un piccolo tempio silvestre. Dentro c’è una dedica a San Michele. Sotto una grotta, naturalmente.

La cappellina nel bosco oltre il santuario della Foresta

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