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Selvascura, l’Agartha dei Monti Lepini

di Fabrizio Manuguerra (La Filibusta Pontina)

Storicamente Roma è stata l’epicentro della cultura religiosa. A Sud le Paludi Pontine per secoli hanno sbarrato l’accesso ad un secondo centro di notevole importanza come Sermoneta, una volta feudo della famiglia nobiliare dei Caetani.

Spostandoci verso l’entroterra eccoci però salire verso i monti, già chiamati Volsci, retaggio dell’antico popolo che migliaia di anni prima risiedeva in questi territori.

Il bosco di Selvascura con la sua lecceta rigogliosa appare come un luogo magico nelle valli a confine tra Bassiano e Carpineto Romano. Qui il tempo si è fermato: una specie di aura antica sembra risuonare tra gli alberi e i sentieri percorsi per secoli dai residenti del posto, dai pastori, dai pellegrini e dai viandanti che calpestando la Via Francigena del Sud si insinuano nella parte più intima dei Monti Lepini, dal latino lapis, cioè pietra calcarea.

Guardando le vette brulle e sassose circondate dai boschi di faggio e acero, capiamo immediatamente di trovarci in uno dei classici paesaggi appenninici: tra l’asprezza e la dolcezza dei crinali spogli appena sotto le vette si materializza Bassiano, uno tra le centinaia di borghi sparsi lungo la dorsale d’Appennino. Fondato nell’Alto Medioevo con le sue mura castellane a protezione della struttura a spirale, camminando tra le sue decarcie ci si proietta in tempi remoti, quando le vallate videro il passaggio di fraticelli ed eremiti, ordini monastici importanti come i cistercensi e i Cavalieri del Tempio.

Appena fuori Bassiano ecco il Santuario del Crocifisso e l’annessa Grotta di Selvascura, scrigno spirituale misterioso, custode di simbologie e pitture risalenti al XIV secolo, caratterizzato da un ambiente ipogeo dove gli elementi naturali narrano silenziosi un paesaggio isolato che pretende sensibilità.

La grotta, nel suo simbolismo primordiale, rappresenta l’identità femminile, il grembo, tutto ciò che conduce alla Grande Madre, ai culti arcaici antecedenti la comparsa del Cristianesimo. Sulle pareti gocciolanti e umide si susseguono scene di bovini, cinghiali, arcangeli, annunciazioni e benedizioni.

L’aria si fa carica di tensione spirituale. Chi scelse questi luoghi non lo fece per semplice caso, individuando qui la sede naturale dove custodire significati profondi da lasciare ai posteri.

L’ambiente totalmente scavato nella roccia incute un certo rispetto facendo così risuonare i versi:
“Terribilis est locus iste! Haec domus Dei est et porta coeli”
(Questo è un luogo terribile! Questa è la casa di Dio e la porta del Cielo), come nella visione di Giacobbe e la scala che saliva verso il cielo.

Qui, la stretta correlazione tra spiritualità e Natura si manifesta attraverso la roccia nuda e l’acqua, il tutto unito in un unicum di immagini rappresentative della cultura cristiana cattolica.

La cultura profonda innestata con la biodiversità ambientale crea quel patrimonio inestimabile che compone l’identità dell’Appennino.
La cultura è Madre, proprio come la Madonna Lactans che ci guarda appena varchiamo la soglia del Santuario del Crocifisso.

“E’ attraverso la via del Simbolismo che le grandi verità sono insegnate agli uomini.Il Mito è un’immagine spezzata della verità come l’arcobaleno è il riflesso della luce solare, i cui raggi si rinfrangono nella nuvola.Ma di questo specchio infranto si possono raccogliere e raccontare i pezzi e così ricostruirlo.”(Plutarco)

Plutarco

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