E se fossero i paesi a salvare l’Italia?
C’è un equivoco, un errore di prospettiva che ai più sfugge. Non è l’Italia della città metropolitane, o di quelle della costa che deve aiutare l’Appennino. Piuttosto è l’Appennino delle aree interne, dell’entroterra, che deve aiutare l’Italia. Dirlo da qui, dai paesi dell’Irpinia, come da tutti quelli della dorsale che soffrono di abbandono e spopolamento da decenni, sembra una follia, o quantomeno una provocazione. Forse in parte lo è, ma può servire a farci capire quanto le montagne, le comunità e i luoghi dell’entroterra siano stati preziosi nella costruzione della storia e dell’anima dell’intero Paese, quanto lo sono e quanto lo saranno.
In un articolo pubblicato dal Corriere della Sera nel 2019, Giuseppe De Rita, già presidente del Censis e attento osservatore delle dinamiche sociali italiane scrisse:
L’Appennino è la struttura portante senza la quale il sistema si scioglie verso il mare; l’Appennino è il serbatoio di quell’anima contadina (di sobrietà e di sacrificio) che ci ha permesso di superare le crisi economiche degli ultimi decenni; l’Appennino è il luogo in cui per secoli non ci si è consegnati alla rassegnazione o al risentimento; l’Appennino è il luogo dove malgrado tutto sono nate decine di iniziative imprenditoriali private di grande successo; l’Appennino è il luogo (cosa non secondaria nella crescente debolezza valoriale) dove sono racchiuse straordinarie memorie culturali, artistiche, devozionali, di vita comunitaria.
Giuseppe De Rita
Questo è il punto: il nostro travagliato e trascurato entroterra era è e resta una grande miniera di senso e di cultura, senza la quale i luoghi scompaiono degradando in non-luoghi e scompare anche l’Italia nelle sue identità, nella sua inventiva e nella sua storica capacità di trasformare la bellezza nell’intuizione di idee uniche e di immaginare un futuro che abbia solide radici.
Il paese di Villamaina e l’Irpinia sono un esempio concreto di questo entroterra; un esempio della capacità di resistere, ma anche di guardare oltre. Certo, alle belle parole devono corrispondere risposte concrete: servizi e lavoro, innanzitutto. Ma chi resta e chi torna non può e non deve chiedere le stesse cose che chiederebbe in una città. Deve chiederne altre. Deve sapersi arrangiare con quello che c’è, ed è tanto, deve confrontarsi con uno stile di vita che non è peggiore di quello delle città solo in quanto diverso, anzi. Deve, soprattutto, saper costruire il futuro facendo di necessità virtù, puntando all’essenza, proprio come i nostri nonni, ma provando a mescolare le tradizioni più antiche e le opportunità della modernità, inventando formule nuove.
“Qui non ci sono metropolitane, ma sentieri”, ha scritto il sindaco di Villamaina, Nicola Trunfio. E i sentieri sono opportunità sulle quali costruire una nuova cultura dell’accoglienza e nuovi lavori, facendo camminare insieme le intuizioni e una concreta ricerca dei finanziamenti.
Per questo bisogna essere in grado di leggere il territorio con amore, rispetto e attenzione e raccontarlo ai giovani come si racconta qualcosa di prezioso. La Mefite, ad esempio, è parte di una storia straordinariamente profonda, non solo per i gas che arrivano dalle viscere della terra, ma perché ha a che fare con l’anima sulfurea e con l’inconscio del nostro Appennino, che qui riappare in maniera portentosa. La sensibilità dei popoli antichi, dei Sanniti, dei Sabini, degli Osci (qualcuno li chiamava popoli-fanciulli, e non è di sicuro una diminuzione) aveva colto in pieno il valore di questo fenomeno naturale, quando ancora si sapeva convivere con le potenze della natura.
Anche il termalismo ha bisogno di una narrazione attrattiva, o impressionante, prima ancora che di investimenti. Credo che questo sia il posto giusto per farla.
Mefite può essere oggi il simbolo di un rapporto con la natura e di un’ecologia profonda che non dimentichi il senso del sacro. Ma questo dipende dalle narrazioni che ne vorrete e saprete fare.
Anche qui è opportuno costruire facendo leva sulle intuizioni, sugli exempla e sui saperi tramandati, perché sarebbe stupido ricominciare da zero. Così l’insegnamento di Giovanni Gussone è prezioso: con la sua capacità di indagare le specificità del mondo vegetale c’insegna che ogni luogo, in particolare quelli del nostro Appennino, ogni territorio e ogni paese è ricchissimo di fenomeni che vanno studiati e indagati. Ogni territorio, anche quello apparentemente più piccolo, è in realtà immenso, a saperlo leggere.
Occorre più curiosità per vivere in un paese, occorre saper indagare, occorre saper estendere il proprio campo visivo. Bisogna fare uno sforzo in più. Bisogna cercare, come Gussone. Bisogna scoprire, bisogna sentire il proprio territorio, la sua natura. In città si è più passivi e la rete, il web, non ci rende più smart, anzi, ci distacca dal mondo naturale, ci proietta come avatar in una dimensione transumana.
Invece è nella realtà che bisogna saper costruire reti, con empatia e umiltà: reti verso gli altri territori. “Se oggi guardiamo alle aree interne vediamo solo dei puntini, dei paesi spopolati qua e là”, spiega Filippo Tantillo nel suo “L’Italia vuota, viaggio nelle aree interne” (Laterza 2022). “Ma un tempo i paesi erano connessi in sistemi economici policentrici”. Per questo i paesi non vanno considerati singolarmente: “Lo spopolamento ha reso soli i paesi, ma fino a un secolo fa esistevano relazioni economiche, urbanistiche, sociali e culturali molto intense tra questi centri” e tra questi centri e le città.
Ricostruire le relazioni sociali ed economiche di rete con gli altri paesi e con le città, è un lavoro difficile e in controtendenza perché significa mettere qualche zeppa nell’ingranaggio dell’economia globale che ci sta divorando, ma proprio per questo è un lavoro che si deve fare.
Di paese in paese, di Appennino in Appennino: c’è sempre qualcosa da capire e da imparare. Da Sud a Nord e da Nord a Sud, perché l’Appennino non ha un verso, non ha un sotto e un sopra, ma solo un dentro e un fuori. I paesi dell’Appennino diventano allora un racconto interminabile e avvincente per chi lo sa leggere e ascoltare, per chi lo sa interpretare e cantare. Ma ogni racconto, ogni narrazione per essere vincente deve trasmettere qualcosa di autentico e per questo ai paesi, ai loro abitanti, ai loro amministratori si chiede oggi più che mai di tutelare la propria autenticità.
L’etimologia di autentico, d’altronde, riporta al concetto di “avere autorità su sé stessi”, essere sé stessi, saper interpretare il proprio luogo o il luogo nel quale si decide di vivere, soprattutto con il cuore.
Così possiamo lavorare insieme affinché l’Appennino del futuro sia migliore di quello del passato e perché sia migliore anche dell’Italia di oggi attraverso il recupero di un rapporto armonico con la natura, con i luoghi, l’abitare, la comunità e con il sacro. In questo senso è l’Appennino che deve aiutare l’Italia e l’Italia, prima ancora di mettere in campo qualsiasi finanziamento per le aree interne, dovrebbe tornare ad amare e a rispettare questa patria antica, anzi questa madre-patria, terra di Grande Madri e di dee potenti come Mefite.
(Appenniniweb per “La voce di Villamaina”)