“Gli altari dell’Arcangelo”, la spada e la cima
Chi cammina in Appennino sa che ogni chiesa, ogni eremitaggio, ogni pieve dedicata a San Michele Arcangelo è un luogo speciale, un segnavia, un segnale della presenza del sacro.
Succede nei boschi, tra le acque, nelle grotte, ma quasi sempre l’Arcangelo Michele sceglie una vetta piramidale dove planare come un’aquila e dalla quale indicare il luogo eletto.
Tra la cima appuntita di un monte e la spada affilata di un guerriero, come Michele, come Odino, o come il Marte italico, c’è dunque, forse, un’analogia simbolica? Chiunque provi a squarciare il velo che offusca la visione del reale sembra aver bisogno, in effetti, di una spada, o di un monte.
Oppure ha bisogno di entrambi, di una spada e di un monte da trasformare in altare, come spiega bene Filippo Filipponi nella sua ultima opera, “Gli altari dell’Arcangelo”, che parte da un’accurata ricerca sulle presenze micaeliche tra i monti dell’Italia Centrale.
Proprio dalla Valnerina inizia un lungo e affascinante viaggio sulle ali dell’Arcangelo, sopra i monti d’Appennino, nelle loro grotte, nella memoria ancestrale di un popolo. Un viaggio condotto con la pazienza e l’accuratezza di uno studioso di documenti d’archivio e con la passione di un cercatore d’aure, sempre sulle tracce delle impervie vie d’accesso alle dinamiche universali.
“É sufficiente che i simboli vengano mantenuti intatti affinché siano sempre suscettibili di svegliare in colui che ne è capace tutte le concezioni di cui figurano le sintesi”, scriveva René Guènon.
Ma non sempre i simboli sono intatti, né la sensibilità di oggi è sufficiente a riconoscerli. Così il libro di Filippo Filipponi, partendo dall’individuazione delle tracce più vicine, guida il lettore fino a Skellig Michael, a Mont Saint-Michel, al Gargano e alla Sacra di San Michele. Lo accompagna nei segreti del simbolismo delle montagne piramidali umbre, tra gli enigmi altrettanto affascinanti delle vette del Karakorum, dell’Aconcagua, dell’Olimpo e dell’Ararat, fino a contemplare ierofanie che si manifestano attraverso “la forza archetipale degli elementi naturali, simbolo incessante della potenza divina”.
Infine, il libro di Filippo Filipponi è anche un invito alla riscoperta del territorio e della potenza del suo genius. Così, scorrendo l’ampio catalogo di chiese dedicate San Michele, gli altari dell’Arcangelo si collocano non dentro le chiese stesse, ma direttamente sui monti a lui dedicati dalla fantasia popolare, o meglio dalla sensibilità dei semplici. Toponimi e oronimi che ricompaiono, quasi magicamente, in posti dove non osavamo nemmeno sospettarlo, perché la nostra attenzione non è più tarata a cogliere le geografie del sacro: a Ferentillo, ad Arrone, a Cesi, a Polino, a Sant’Anatolia di Narco, a Marmore, proprio sopra la Cascata, a Norcia, a Cascia e persino a Terni e in Valserra.
Un lungo filo rosso di luoghi micaelici che, forse, è parte della più ampia Linea di San Michele, ma che trova in Appennino e nelle terre alte di questa catena una vera e propria sublimazione e ci fornisce un invitante spunto per nuovi cammini di scoperta.
Gli Altari dell’Arcangelo – Filippo Filipponi – in collaborazione con il Cai, sezione Stefano Zavka di Terni e con il finanziamento della Fondazione Carit, sarà presentato a Terni nel salone della BCT il 6 novembre alle ore 17.