Resistenza montana con montone
Di giù si parla di arresti, di crisi, di inquinamento, di legittima difesa. Di su si parla di spinose, montoni, cannoni per cinghiali e gelate fuori stagione.
Bastano poche centinaia di metri di differenza. Naturalmente d’altitudine e non di distanza. Basta salire, spostandosi anche di poco, per cambiare panorami – certo – ma anche discorsi e prospettive. Forse perfino per fare un salto nel tempo. Resta da capire se all’indietro o in avanti.
La montagna, anche il piccolo Appennino, quello sopra casa, non offre solo l’aria buona e l’opportunità di buttar fuori le tossine con il sudore. Ti offre – se sai cercarlo – il contatto con l’altro mondo. In senso buono. Il mondo dei montani resistenti. Che poi, se sono umbri (orientali) o marchigiani, sono pure simpatici. Che alla fine della chiacchierata ti vien voglia di abbracciarli, come fratelli e sorelle. Forse anche per via del vino che – inevitabilmente – avete bevuto insieme.
Di qua dallo spartiacque (guardandolo dal Tirreno), Villelmo e il figlio discutono di quale sia la carne più prelibata. E convengono senza esitare su quella della spinosa. Che sarebbe l’istrice. Poi invece, divergono sul peso di una spinosa media. Venti, venticinque chili, dice il figlio. Ma che sei matto? Ribatte il papà. “Giusto se te la magni co’ tutte le spine!”.
La signora Ines, di là dallo spartiacque (verso l’Adriatico insomma) ha un cannone. Sì proprio un cannone (ma niente a che fare con quello dei ragazzacci, o con quegli altri di Trump!). Il fatto è che la signora Ines deve difendere i suoi campi coltivati di montagna dalle invasioni dei cinghiali. “E così ho dovuto mette lu cannone”. E’ un marchingegno marchigiano a gas. Si programma e fa delle esplosioni periodiche. Son passati i Carabinieri, “ma erano de fori, stanno qui per via de lu terremoto”. “Ma che ci fa signora con questo cannone, li uccide i cinghiali?”. Gli domanda un ufficiale. “Nooo! Li spaurisco!”. “E come fa?”. “Ehhh come faccio, gli ho riposto al Carabiniere…faccio BUUUM” e nel mentre il cannone ha fatto davvero il boato. “Ecco…mo’ sii capitu?”.
Intanto, da quest’altra parte d’Appennino, mentre le salsicce e la pizza sotto il fuoco finiscono di cuocere bene, Villelmo ci descrive il sentiero che abbiamo appena fatto (e che ben conosciamo) aggiungendo almeno quattro toponimi assolutamente ignoti e favolosi: il prato del duca, il sasso grande, li licini centenari, lu bucone. “Eeeh perché qui su la montagna li posti mica c’hanno li nomi che stanno su le cartine vostre!”. Villelmo s’interrompe. C’è del movimento davanti alla porta. “Va un po’ a vede’, sarà Arturo!”. Apri e conosci Arturo. Che però è un ariete, un montone domestico. Quando è ora di pranzo viene a salutare. S’accontenta pure di qualche carezza. Solo che per l’emozione se la fa sotto.
Di là dall’Appennino la signora Ines che pure era soddisfatta d’aver scampato terremoto e grande nevicata, ha appena trovato i nuovi getti delle viti anneriti dalla gelata fuori stagione. “Fijji mia, qui la terra non se po’ più tene’, non je se la fa più”. Poi però si mette pazientemente a capare la cicoria. Nonostante tutto resiste. Lei e la gente di montagna. A costo di fare a capocciate. Magari con l’aiuto di Arturo.