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I giorni del fuoco, del sole che ritorna e del Natale

Le luminarie elettriche accese in questi giorni natalizi in tutte le città sono solo l’ombra della luce. L’ombra consumistica di tradizioni custodite ormai solo nel cuore delle nostre montagne. Scintille contraffatte di fuochi antichi e ancestrali, per illuminare le notti più buie, per aiutare il sole a rinascere dopo il 21 dicembre.

Foconi, focaracci, faoni, ‘nfalù, ‘ndocciate, ‘ntusse, ‘ntuzze, sono i fuochi ancora accesi che – più o meno consapevolmente – segnano le notti dei Saturnalia d’ Appennino, scaldano nel profondo le anime ancora deste, suscitano meraviglia e stupore nei bambini per una volta allontanati dagli schermi dei tablet e degli smartphone e restituiti al mondo reale dell’immaginazione.

Così nelle notti dell’8 e del 24 dicembre nel cuore del Sannio, ad Agnone, in Molise sfila un corteo di fuoco, con centinaia di ‘ndocce, torce accoppiate a due, tre o addirittura fino a venti, costruite con resinose strisce d’abete bianco e ginestre secche intrecciate, portate con abilità  in spalla sopra le cappe, come code di pavone infuocate.

Così nella notte della Venuta tra il 9 e il 10 dicembre, nell’Appennino tra Umbria e Marche, a Norcia, Cascia, Preci, Campi, in tutta la Valle Castoriana e in Valnerina, fino a Piedipaterno e Vallo, si accendono i faoni per illuminare la strada e indicare la direzione al volo degli angeli che trasportano la casa di Nazareth fino a Loreto.

Così nella notte tra il 12 e il 13 dicembrevigilia di Santa Lucia nella piazza di Castelluccio di Norcia, sopra la piana, sotto la grande mole del Vettore, si accendeva il faone, per la santa della luce, per il ritorno della luce.

Così nei camini di tutte le case dei borghi e dei paesi d’Appennino, da Nord a Sud, si onorava il ciocco di Natale – quasi sempre un tronco di quercia – come una persona, o una divinità dimenticata: gli si offrivano libagioni, cibo, si lasciavano davanti al focolare tre sedie per il passaggio di Giuseppe, Maria e il Bambinello, affinché si scaldassero nel cuore della notte. E al mattino si raccoglievano i carboni da usare per scongiurare i temporali o il maltempo e salvaguardare raccolti e armenti, come in un nordico rito magico per il dio del tuono.

Questi fuochi speciali, al contrario dei tanti che sono spenti nelle case abbandonate, continuano a bruciare in Appennino nei giorni della Venuta, del Natale, del Solstizio, a ricordare forse, come quelli accesi dai nostri Avi per i Lari e i Penati, che qualcosa da vegliare ancora resta, qualcosa che scalda ben più di uno schermo, di un termosifone.

Foto della ‘ndocciata di Agnone di Filippo Perpetua

3 pensieri riguardo “I giorni del fuoco, del sole che ritorna e del Natale

  • Grazie per tutte le informazioni in questo sito web!! Bellissima iniziativa quella di informare sulla ricca cultura e tradizioni dell` Appennino e sulle sue bellezze naturali ed architettoniche! Ho letto con piacere gli articoli qui contenuti. Molto bello questo sul Natale, che mi ha inizialmente condotta al sito. Non tanto entusiasta all’idea del baccano dei concerti con birra e rumore invasivo fino a tarda notte per la verità. Ma spero comunque che sempre più giovani, in sintonia con i luoghi, possano riscoprire questi tesori dimenticati!!

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    • Gian Luca Diamanti

      Grazie Greta! Il nostro unico obiettivo è condividere informazioni e soprattutto sensazioni. È bello sapere che qualcosa resta e che possa servire per vivere un pochino meglio le nostre montagne! Buona navigazione appenninica ??

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  • Pingback: Pasqua d'Appennino, la resurrezione del sacro - AppenniniWeb

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