Il miracolo dei santi montani
Con tre soli balzi San Pancrazio a cavallo salì sul monte Rosaro. Aveva due fratelli: Sant’Erasmo e Sant’Oreste. In tre si presero le cime di altrettante montagne per i loro eremitaggi e da quelle cime, sopra Cesi, Calvi e il Soratte, si salutavano. E San Biagio? Lui guariva il mal di gola con l’olio della bruschetta tra gli oliveti e le leccete di Colle Zannuto… E San Michele? Sul monte di Acquasparta scacciava i diavoli dalle grotte dei Martani…
Non abbiamo santi in paradiso, forse. Ma le nostre montagne ne sono ancora piene di santi. Loro ci guardano da lassù, anche se noi spesso non li vediamo più. Come i monti che stanno sopra le nostre teste, ma noi – sempre di corsa e sguardo basso – neanche ce ne accorgiamo. Salvo qualcuno che ogni tanto, nelle date stabilite, si ricorda delle feste dei santi montani, delle loro leggende e delle piccole, splendide, affascinanti chiese sulle cime, sui pianori, lungo i sentieri, in mezzo ai boschi, quasi sempre costruite sui resti di luoghi di culto pagani, talmente integrate nell’ambiente che le circonda da sembrarne un naturale prolungamento.
La benedettina Sant’Erasmo, sopra Cesi, è la più conosciuta: mura di pietra bianca sul verde pianoro a 800 metri di altitudine dove sorgeva una misteriosa e munita città degli antichi umbri. Qui ogni anno si fa festa il 2 di giugno, non per la Repubblica, ma per la ricorrenza di questo santo marinaro finito chissà perché su una delle cime più amate dai ternani. La Pro Loco del presidente Bisonni organizza giochi e tavolate, la banda di Cesi suona all’ombra della chiesa, che il sole di giugno già picchia, e il parroco dice l’unica messa dell’anno davanti al busto di Sant’Erasmo (detto anche Elmo), già una volta rubato, ma subito sostituito per volere dei fedeli. Che si ritrovano tutti qui, sul prato, giovani e anziani, dopo essere saliti da Sant’Onofrio (altro santo eremita montano) lungo lo stupendo sentiero delle torri, con un dislivello di più di 400 metri. Al termine della passeggiata si mangia una meritata ciambella salata, simbolo del tempo circolare delle tradizioni.
Sulla montagna di Cesi si fa festa pure a San Biagio. In una bella cappellina affrescata, il 3 febbraio, dopo la Candelora, si onora questo santo capace di guarire la gola. Si benedice l’olio e con un batuffolo lo si passa sulle gole di sani e malati. Poi, siccome l’olio di qui è buono, si procede alla cottura delle bruschette.
Poco più giù, sotto la penna di San Giovanni, in settembre si festeggia la Madonna dell’Olivo tra rocce e oliveti.
Dall’altra parte della conca, di fronte a Torre Maggiore c’è un altro monte, è quello conquistato da San Pancrazio per i calvesi, conteso ai poggiani. Ogni 12 maggio, con una complessa cerimonia, si sale in cima verso la chiesa, accanto ai resti di un tempio romano, dirimpettaio di quello di Torre Maggiore e dell’altro del Soratte (le cime dei tre fratelli!). Un giovane corre tre volte intorno alla chiesetta e grida: evviva San Pancrazio! Una festa sentita come il cuore di una comunità che la interpreta e la fa evolvere continuamente, dice Franca Nesta, scrivendo di questo antico rito.
E di una benedizione dall’alto dei monti d’Appennino sul territorio della propria comunità racconta anche la festa di San Michele ad Acquasparta, i cui significati profondi sono ben illustrati in una recente pubblicazione di Riccardo Picchiarati.
In America cantano: quando i santi marceranno, when the saints go marching in, o Signore come vorrei essere con loro! Ma se per incamminarsi verso il Regno dei Cieli c’è sempre tempo, dalle parti nostre, sulle nostre montagne, hai cento occasioni per marciare coi santi. In allegria e in piena salute. Anzi, andarli a trovare rinfresca i polmoni, riempie lo stomaco e ti aiuta a vedere le cose da un altro punto di vista, quello montano, appunto. E questo – alla fine – è il vero miracolo dei santi delle montagne.
Grazie di cuore e di intelletto a chi scrive queste pagine.
Grazie soprattutto a chi spende un po’ del suo tempo a leggerle! ?
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