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Le luci della candelora sull’Appennino

A la Cannellora
se nevica e se piova
dell’inverno semo fora
se fa’ ‘l sole e ‘l solicello
siamo ‘n mezzo dell’inverno
(Antico detto della Valnerina)

La Candelora, il 2 febbraio, è un’altra di quelle feste che mescolano insieme tradizioni diverse, precristiane e cristiane. E’ la festa della purificazione di Maria, quaranta giorni dopo il parto. Ricorda il cammino della Madonna e di Giuseppe verso Gerusalemme e la presentazione del neonato Gesù al tempio. E sulle nostre montagne appenniniche fino a non tantissimi decenni fa, era ancora uso che le donne non dovessero lasciare la casa per quaranta giorni dopo aver partorito. Poi uscivano per consacrarsi in chiesa.
Però se andiamo più indietro, ci dice Mario Polia in “Tra cielo e terra – Religione e magia nel mondo rurale della Valnerina”, notiamo che febbraio nel calendario romano era il mese in cui februare, dal sostantivo februum che vuol dire purificare. E la purificazione in realtà era propria dell’arcaica festa dei Lupercali, con le fruste di capra dei luperci che colpivano simbolicamente soprattutto le donne per augurare fertilità, e con una processione di torce, invece che di candele, ma sempre in attesa del ritorno della luce e della primavera, tra le nostre fredde montagne, così come sui colli di Roma.
E non dimentichiamo un particolare: i resti delle candelette della Candelora venivano inserite sulla croce piantata il tre di maggio nei campi seminati, oppure poste nei vigneti, per scacciare grandine e maltempo.

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