Montagna amanteMontagna madre

L’ultimo viaggio di Marzio sui Martani

C’era una montagna tra Marzio e Diamante, ma anche un valico. C’erano opportunità e difficoltà, forse tragedie. E c’erano la sfortuna e il coraggio di una donna che di prezioso aveva solo il nome, ma che era dura come quel nome, tanto da farsi ricordare per più di quattrocent’anni, senza farlo sapere a nessuno, o quasi.

Sono cose che succedono nella grande madre/patria d’Appennino, dove, ben nascoste, ci sono le piccole patrie. E, quasi invisibili, le piccolissime madri. Come quelle di ciascuno di noi, o almeno di coloro che hanno la fortuna di ritrovare le radici e la traccia dei propri avi in borghi montani sperduti. D’altronde siamo in molti, più di quanti si creda, noi italiani-appenninici.

La mia, ad esempio, è una storia familiare che si giova della carta resistente dei registri parrocchiali, della fortuna di avere un amico genealogista e, infine, delle confidenze raccolte sui sentieri. Perché se la prima parola viene dalla montagna, anche l’ultima spetta sempre a lei.

Come quella di tanti, dalla montagna discende infatti la mia stirpe. Che non è discendenza di dotti, né di guerrieri, tanto meno di poeti o di notai. Essa è piuttosto una stirpe legata alla terra, sporca di fango, profumata di bosco e di sudore, attaccata a una montagna che me lo aveva già raccontato a modo suo, prima ancora di consultare le carte.

La mia è stata dunque una fiera genìa di mezzadri, di contadini, di carbonai, forse di piccoli allevatori, che si è confrontata con l’esistenza quasi sempre nello stesso luogo, almeno negli ultimi quattrocento anni. Penso perciò che la storia di questa discendenza di montanari sia un bel cammino da condividere, un invito alla ricerca di tante altre radici, di misere e splendide stirpi che hanno fondato la tosta madre/patria-Appennino, prima di tradirla per la valle delle comodità apparenti.

Bene, allora proviamo a raccontarla questa storia di generazioni e radici appenniniche, a volo d’uccello…
Iniziando a sorvolare una piccola e verde montagna, che non fa parte dell’Appennino vero e proprio, ma di una sua propaggine. Una montagna che sta al centro dell’Italia e al centro della sua regione più antica, l’Umbria; forse anche al centro dell’anima italica…

Di questa terra centrale, i monti di Marte – i Martani – sono stati da sempre l’ombelico, da quando qui giunsero, con una delle più antiche migrazioni indoeuropee, i misteriosi Umbri, gens antiquissima Italiae. Questa montagna, queste montagne, ne sono state la fortezza e il tempio, luogo fondante della nuova patria di genti che, con i loro riti ancestrali e con le primavere sacre, hanno segnato il volto della Prima Italia, poi quello di Roma e forse un po’ anche quello dell’intero mondo occidentale: scusate la presunzione analogica!

Ma torniamo coi piedi per terra e con gli occhiali sul naso, perché le tracce della mia stirpe contadina sono di terra, d’inchiostro e di lettere minute.

Un estratto dai registri parrocchiali del ‘600

L’inchiostro e la calligrafia minuta, a volte un po’ stentata, sono dei parroci della cura di San Giovanni di Piedimonte. Una parrocchia montana, ben fuori le mura di Interamna/Terni, attaccata alle rocce calcaree di una penna che nulla ha a che fare col calamaio, ma che è un pinnacolo di roccia, sopra il quale ancora svettano i resti di un’ardita rocca.

A questa chiesa faceva riferimento un territorio pedemontano abbastanza ampio, disseminato di case sparse, abitate da famiglie pazientemente censite negli stati delle anime e che, per la maggior parte, traevano il proprio sostentamento dai piccoli appezzamenti di terreno, dagli oliveti e dalla pastorizia.

Basta sfogliare e interpretare (meglio se con l’aiuto di esperti) i ghirigori vergati sui registri, per apprendere che gli uomini e le donne di almeno otto generazioni con il mio cognome sono nati qui, a San Giovanni sotto il monte, dove sono stati battezzati, comunicati e sposati. E qui sono morti, passando il testimone e il cognome ai figli. Nulla di straordinario. Se non fosse che per decenni senza aver saputo dei registri e senza averne avuta alcuna notizia dalla mia famiglia scesa giù a valle almeno tre generazioni fa e che forse un po’ si vergognava delle origini montanare, quella montagna l’ho sempre portata nel cuore, magari per colpa o per merito dello strano sesto senso che qualcuno chiama memoria senza ricordo e che deve avere a che fare col nostro patrimonio genetico.

Ma i cognomi non nascono dal nulla e dal Cinquecento in poi, almeno qui da noi, discendono dai patronimici, quasi sempre. Chissà dunque da dove viene il mio e quando ha avuto origine?
Occorre muoversi con cautela, ammonisce il genealogista, perché in questo territorio di cose ne sono successe tante dopo gli Umbri e dopo Roma. Sono arrivati i barbari, che tanto barbari non si dimostrarono perché irretiti dall’antica gloria dell’impero sconfitto. I Longobardi, mentre governavano un vasto territorio dalla vicina Spoleto, costituirono sui Martani un minuscolo stato, che si chiamò contea delle Terre Arnolfe. Poi, sempre di qui sono passati e hanno soggiornato a lungo Francesco d’Assisi e i suoi fratres lasciando impronte profonde. Infine qui hanno guerreggiato le bande di Interamna e di Spoleto, ghibellini e guelfi, per difendere con le armi più o meno elevati interessi di campanile con la scusa dell’Impero e della Chiesa, con Roma, la cattedra di Pietro e le grandi famiglie romane sempre troppo vicine e influenti.

Ad ogni modo, dopo Umbri, Romani, Longobardi, Guelfi, Ghibellini, vescovi e santi francescani, alla fine del ‘500 tra dieci case di pietra e un campanile-torre medievale che ingloba lastre con antiche iscrizioni romane, su un alto poggio sopra la Val Serra, valle stretta e serrata tra i Martani e Spoleto, nel piccolissimo borgo di Appecano, nella diocesi di Spoleto, tra i boschi dei Martani, nascevano prima Giovanni Vincenzo e poi suo figlio Marzio. Detto appunto Marzio di Giovanni Vincenzo, patronimico semplice, non ancora cognome. Così è scritto.

Quest’uomo, questo Marzio dei Martani, doveva essere quasi un avventuriero, oppure semplicemente Appecano doveva sembrargli un po’ ristretto e la Valserra troppo serrata… così per cercar moglie si spostò un po’ più in là, proprio sotto la penna di San Giovanni, sopra Interamna.

Appecano, in Valserra

Qui conobbe Diamante, donna dal nome speciale, evidentemente. E la sposò nella chiesa di Piedimonte, trasferendosi nella sua casa. Ma la storia di Marzio e Diamante non fu semplice, perché a leggere negli stati delle anime, Marzio dopo un po’ di anni scompare: morto, scappato, emigrato? Chissà? Fatto sta che Diamante e i suoi figli restano da soli ed è lei che li deve crescere. Tanto che per tutti quelli non sono più i figli di Marzio, ma i figli di Diamante e per sempre, da quel momento, i ragazzi di Diamante e i loro discendenti hanno portato la memoria di  quel nome, Diamanti, figli di Diamante. Un cognome dunque che non è un patronimico, ma un matronimico.
Così la genealogia trasforma il mio Appennino in Madre/Patria.

Ma come mai Marzio era finito proprio a san Giovanni di Piedimonte per cercar moglie? Oggi ci vogliono quaranta minuti d’auto per andare da Appecano alla chiesa sotto la penna di San Giovanni, che ora è detta della Madonna dell’Olivo. Ma le strade all’inizio del Seicento erano altre. Erano sentieri tra i boschi e andavano in cerca di valichi.

Così, in una tiepida giornata d’ottobre, basta mettersi gli scarponi e camminare passo dopo passo, da Appecano verso il suo pizzo, fino ad incontrare un valico, detto delle piane. Di qui si scende verso la valle di Terni, ma già si nota la grande mole dello sperone roccioso, ricoperto di verde, della penna di San Giovanni. In meno di tre ore dal piccolo borgo di Marzio si arriva a piedi a casa di Diamante. Non è difficile, non era difficile. Lo confida il sentiero, lo conferma la montagna. Che però si rifiuta di rivelare l’ultimo viaggio di Marzio, quello che lo allontanò da Diamante e che, per questo dette origine al cognome che porto. Magari ci penserà il genealogista a sciogliere il mistero. Oppure l’ultima parola resterà quella della montagna?

Il valico tra Appecano e San Giovanni di Piedimonte

NB I fatti e i nomi riportati non sono frutto di fantasia. Tuttavia l’amico genealogista Luca Paccara, che ringrazio per le preziose ricerche e per i documenti scovati, avrà modo di sgridarmi, perché qualche particolare è un po’ troppo romanzato e qualche passo della storia eccessivamente deduttivo. Però mi andava lo stesso di raccontarla così, come mi sembra di averla capita e come me la sento: Luca avrà un po’ di pazienza…

L’ultimo viaggio di Marzio sui Martani

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