Montagna musaOltre il terremoto

Le fate dei Sibillini e la ricostruzione

Ci sono luoghi che nascondono, ci sono luoghi che custodiscono e ci sono luoghi che svelano. Poi ci sono i Sibillini, luoghi dell’essenziale, dove immaginare è essenziale.

Le fate? Potrebbero essere arrabbiate. Sì, potrebbero essere arrabbiate con noi…
Perché?
Perché qualcuno, di giorno, sotto al sole, in mezzo al Pian Grande ha sciolto i crini dei cavalli.
Di notte sono le fate che li annodano.
Perché lo fanno? Per dispetto?
Nulla è per dispetto o per favore, nelle azioni delle fate.
Li annodano, perché il sogno e la realtà sono annodati. E solo noi, nella nostra superbia, pensiamo di doverli snodare.

Ricordi Shakespeare?
Vedo che la regina Mab è stata da te stanotte. Lei è la levatrice delle creature fatate e arriva, trainata da un gruppo di folletti, non più grande della pietra d’agata che risplende sull’anulare di un priore. Arriva, ed è lei che porta i sogni, posandosi sulla punta del naso di chi dorme (…)
Mab è colei che intreccia nella notte i crini dei cavalli, e con grassi pasticci annoda i capelli degli elfi, lanciando sventure su chi si avventuri a scioglierli”.


Camminare tra le macerie, restare in piedi quando tutto crolla.
Non maledire, non maledire.
Dillo a loro se ne sei capace…
Dillo a chi non ha più una casa, dillo a chi non vede il proprio futuro…
Ma dillo anche a chi ha incontrato nuovi compagni sulla strada, a chi ha riconosciuto i fratelli e le sorelle che pensava lontani, a chi ha ritrovato la vista per scorgere la bellezza oltre la tragedia, la luce oltre la polvere.
Come quei raggi di sole che filtravano dal rosone della basilica di San Benedetto la mattina del 30 di ottobre…
Come quelle montagne azzurre, magiche, essenziali, lì dietro…


Si sale verso Castelluccio per una strada squarciata, franata, frullata, come un tracciato nepalese verso un ghiacciaio himalaiano, come una carretera sudamericana nelle Ande.
La presenza umana qui, da secoli, è ridotta. La natura vince sul paesaggio. Solo piccole sottolineature: uno stazzo, un rifugio, un fontanile. È la natura che fa i progetti, che detta le regole, non viceversa, come giù a valle.
La natura fa e disfa.

Ha disfatto Castelluccio, le sue pietre ma non il suo genio, non il suo essere luogo nella natura, luogo dove avresti il tempo per dimenticare il tempo, solo ad accorgertene, solo se non volessi – a tutti i costi – sciogliere quei nodi, i nodi delle fate, solo se avessi l’animo del Guerrino. Solo se non avessi paura di queste montagne azzurre e delle loro fate.

Tra la cima del Redentore e il pizzo del Diavolo, tra Passo Cattivo e l’Argentella, le gole dell’Infernaccio e il Pizzo Tre Vescovi, qui tu stai tra gli estremi della vita, nel paradiso del diavolo, che forse è la tua condizione più naturale.

E se hai smarrito la strada, lasciati guidare dall’essenzialità dei Sibillini. Qualunque progetto pensalo rotolandoti giù dai ghiaioni, sui pendii, prendendo su di te l’odore della terra, riempiendoti gli occhi della luce dei Sibillini, di verde e di azzurro, scaldandoti davanti al fuoco di un camino di pietra, pregando davanti ad un affresco che ti colori l’anima.
Lascia i crini dei cavalli annodati e, per quel che ti compete, ricostruisci questa terra magica insieme alle fate. Mai contro di loro.

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