L’economia montana della bellezza
Dalla sua nuova vita appenninica Giovanni Lindo Ferretti ci ricorda che la montagna per molti di noi è diventata, o è sempre stata, un’amante per il fine settimana. Niente di più di un’amante, sedotta e abbandonata.
In effetti una cosa è parlare di montagna, un’altra è viverci. Una cosa è amare la montagna, un’altra è creare le condizioni affinché non si spopoli e non diventi un immenso parco (giochi).
Questo punto di vista diventa ancor più necessario per cercare di capire – dall’esterno – quale possa e debba essere la gestione migliore della lunga fase post sismica, per le regioni appenniniche del centro Italia.
A cosa serve l’Appennino senza i suoi abitanti? Se lo chiedeva già qualche mese fa Slow Food analizzando i dati ben poco confortanti del rapporto Montagne Italia.
Ce lo continuiamo a chiedere con ancor più forza dopo il grande terremoto.
Proprio Slow Food aveva dato vita, giocando involontariamente d’anticipo sugli eventi catastrofici, agli Stati generali delle comunità dell’Appennino, un luogo di confronto (itinerante) e un’occasione di discussione e d’incontro non solo virtuale.
Da dove ripartire? Si chiedevano coloro che avevano (e che hanno a cuore) il futuro delle nostre montagne di mezzo e delle loro comunità…
“Gli Appennini – scrivevano – sono stati per secoli la dorsale dell’economia italiana, che si basava sulle attività agro-silvo-pastorali; è una storia che oggi può ancora essere raccontata dai prodotti tipici e dal paesaggio stesso”.
Qualità dei prodotti e paesaggio sono ancora i due assi sui quali ricostruire le comunità d’Appennino. Il terzo asse è la bellezza. Non più premio solo per i gitanti in cerca dell’amante-montagna del fine settimana, ma plusvalore dell’abitare e del lavorare nelle Terre Alte.
Perché la fatica del lavoro, la scarsità dei frutti – o meglio lo scarso valore loro attribuito – hanno in effetti per secoli caratterizzato l’abitare in montagna quasi come una condanna, e la consapevolezza del vivere in un ambiente esteticamente privilegiato ha faticato non poco a far capolino nelle vite dei montani.
La montagna, dunque, da sempre, è stata sinonimo di fatica e di economia precaria. Ma negli ultimi anni, almeno in alcune aree dell’Appennino, la situazione sembrava avviarsi ad un cambiamento: qualità dei prodotti, tutela dell’ambiente, promozione del territorio, nuove tecniche e nuovi strumenti di lavoro, unite all’entusiasmo e all’intraprendenza di alcuni giovani avevano iniziato a dare nuovi frutti.
Cosa succederà ora, dopo il terremoto? Sarà la mazzata finale, o la scossa (in questo caso positiva) per la svolta decisiva?
Un vecchio adagio dice: “Laddove si producono fratture, possono emergere tesori nascosti”.
Se si sviluppasse una nuova visione, in montagna d’ora in poi si dovrebbe stare e re-stare non per costrizione, ma per scelta consapevole, a fare mille cose economicamente rilevanti (se incoraggiate): l’escursionismo sostenibile, l’università della montagna, le coltivazioni di zafferano, di canapa, di lenticchia, di legumi tradizionali, l’allevamento allo stato brado…
Ma occorrerebbe, allo stesso tempo, innovare i metodi e gli strumenti di produzione, promozione e vendita. Ad iniziare dall’on line che pure ha già avuto un ruolo significativo nel sostegno alle vendite di prodotti tipici nel post terremoto e nel creare collegamenti e solidarietà nuove tra la montagna e la valle.
Servono infrastrutture, anche tecnologiche, serve una rinnovata viabilità, rispettosa dell’ambiente, serve progettare innovazione montana senza mai dimenticare di farsi ispirare dal genius loci.
In cambio la montagna sarebbe capace di offrire ai nuovi e ai vecchi montani il confronto con l’armonia dei ritmi della natura, il senso della misura e dell’utilità del tempo: una visione olistica preziosa in un mondo che ha disimparato a guardarsi nel suo insieme, dall’alto. La montagna insegnerebbe ai vecchi e ai nuovi montani ad essere non padroni, ma passeggeri della natura. Gli insegnerebbe ad essere comunitari e solidali.
I nuovi abitanti ed i nuovi imprenditori/lavoratori della montagna dovrebbero dunque essere in grado di contabilizzare nei loro bilanci tutto questo, insieme all’influenza della bellezza nelle proprie vite.
“Quando uomini e montagne s’incontrano, grandi cose accadono”, diceva profeticamente William Blake. Lo stesso potrebbe accadere quando uomini e montagne si ritrovano e si riconoscono.
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