Montagna madre

Gli eremiti e le montagne parlanti

“Queste montagne possono salvarsi solo se ricominciano a parlare”. Lo senti dire per strada a Ferentillo, in Valnerina, e ti volti. “In che senso?”, chiedi. “Monti e valli d’Appennino non sono solo coperti di boschi e di prati, ma anche di storie. Per millenni gli uomini e le donne che ci vivevano le hanno animate con la loro immaginazione, hanno affidato ai geni e agli spiriti dei monti, fede, paure e sogni. Di questo è fatto il nostro paesaggio. Se non sappiamo più ascoltare le montagne e raccontarle, il paesaggio muore e una parte di noi con lui”.


Sarà che nella sala conferenze, nell’ambito de “Le rocche raccontano”, si parla di eremiti, di montagne sante e di montagne sacre, ma questo discorso sembra più intricato di un sentiero che si perde tra i rovi. Eppure eccole le storie montane: Alessio Pascolini fa l’archeologo tra l’Umbria, il Lazio e la Giordania. Ma da tre anni batte tutte le alture della diocesi di Spoleto, dalla Valnerina alla Valserra, nei monti Martani delle Terre Arnolfe, alla ricerca degli eremi, quelli più antichi specialmente, dei quali si è dimenticata l’esistenza. “Qui arrivarono per primi i monaci dalla Siria e per loro i boschi e i monti equivalevano al deserto”. “Lasciavano le città e salivano sulle montagne per confrontarsi con i demoni della natura, con la propria fede e con se stessi”.


Il giovane archeologo lavora con una mappa e un catasto delle grotte realizzato dagli speleologi. Esplora le cavità più nascoste, non senza sorprese. Come davanti alle pareti d’arrampicata tra Ferentillo e Monterivoso, dove da poco sono stati scoperti eremi rupestri nascosti dalla vegetazione, pronti a raccontare nuove, antiche storie. Quelle degli eremiti che nell’Alto Medio Evo sapevano ancora ascoltare le montagne e spesso si ritrovavano a sperimentare la nuova fede proprio nelle stesse grotte dove già si svolgevano riti ancestrali. Perché a guidarli, come spiega il ricercatore Filippo Filipponi, era una sorta di geografia del sacro. Dove le fonti, gli alberi ma specialmente le montagne più alte e più strane colpivano l’immaginazione dei popoli quando le porte della percezione erano ancora spalancate e il sacro, appunto, irrompeva nella vita di tutti i giorni. Ed ecco allora che sotto ognuna delle grandi montagne coniche o piramidali della zona, i luoghi di culto si sono alternati per millenni passando dalle divinità delle acque e delle selve ai santi cristiani. Sotto la piramide perfetta del monte Caperno a Piediluco, prima Diana, poi la triade di Santa Maria, Sant’Egidio e Santo Stefano; sotto il monte Solenne, il piccolo Cervino ternano, con la sua forma conica quasi perfetta, l’eremo e l’abbazia più importante, quella di San Pietro in Valle.
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Oggi non sono rimasti molti ad “usare” le montagne, forse solo cinghialari e cacciatori, che infatti sono tra i pochi a conoscerne ancora i nomi dei luoghi, come conferma Sebastiano Torlini, anche lui archeologo, che in Valnerina si dedica instancabilmente alla riscoperta delle radici del territorio. Ma recuperare la memoria degli usi più antichi delle montagne, perfino quelli degli eremiti, può diventare esso stesso un nuovo uso e aiutarci a ricostruire il paesaggio narrativo della montagna, dentro il quale anche le passeggiate di turisti e escursionisti trovano un senso e un fascino più profondi. A Ferentillo in questi giorni “Le rocche raccontano” , ma anche le montagne non tacciono affatto. E la Valnerina è il luogo ideale per ascoltarle.

www.appenniniweb.it per Il Messaggero Umbria – domenica 27 agosto/8
Le foto del convegno e di San Pietro in Valle sono di Sebastiano Torlini

 

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