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Come funziona un tempio italico d’altura: istruzioni per l’uso

Fai conto di avere un tempio italico d’altura a mezz’ora da casa. Che sia su una cima sopra i mille metri e con una visuale – diciamo – di qualche centinaio di chilometri a 360 gradi sull’Appennino centrale. Una roba tra terra e cielo, come piaceva agli Antichi. E’ una bella fortuna, non c’è che dire! La domanda successiva è: che te ne fai?

In fondo sono solo dei pietroni squadrati di calcare sparsi sulla vetta di una montagna. Alcuni per la verità allineati e sovrapposti, tanto da dare l’idea di quello che c’era prima. Un recinto murato, una porta, un pozzo sacro, ricoveri per pellegrini addossati al muraglione, la cella e il pronao del tempio italico e quelle del tempio romano, successivo.

Bene, non resta che salirci. Come? In pellegrinaggio? Con la guida dell’Archeoclub? Con i satanisti? Per un rituale wicca?

IMG_20180513_164938_474Oppure si può salire semplicemente per capire perché. Perché l’hanno fatto. E perché proprio lì. Passare nel bosco di faggi, come tra le colonne di una cattedrale, o di un tempio, appunto, e calpestare un tappeto di fiori come fosse un pavimento cosmatesco, ringraziando Maja, o Kerres, o più semplicemente la primavera. Incontrare la bocca della grotta, dell’antro che introduceva chissà quale Sibilla, maga, sacerdote o pontifex giusto sotto il sacello costruito esattamente sulla cima del monte. Ascoltare, di qui, il respiro della profondità della terra che muove gentilmente le giovani felci rinverdite sui bordi e ricavarne il primo vaticinio per il quale l’interno e l’esterno sono sempre in una qualche comunicazione.

Affannarsi poi negli ultimi metri di salita sui prati impennati e sommitali. Varcare la soglia di travertino e alzare gli occhi come un augure, un uthur, ad osservare se qualche uccello, nel caso, abbia segni da mandare. Ne ha di sicuro il volo del rapace, che quantomeno ti induce ad alzare la testa e lo sguardo. Fenomeno poco consueto al di fuori dall’area sacra.

Senza inciampare puoi intingere la testa del tuo bastone nell’acqua delle piogge primaverili acconcata nelle pietre cave del pozzo lavacro dei pellegrini, pensando che in effetti, rinfrescarsi dopo una salita ritempra corpo e spirito e predispone. All’entrata nell’area sacra puoi girare tre volte intorno al tempio invocando in silenzio i nomi della triade grabovia, sempre attento a non inciampare, ascoltando, al termine, il nitrito di un cavallo che non c’è o non si appalesa.

Infine entrare nel tempio e immaginare gli Antichi, lì seduti composti e togati che ti aspettano per dirti forse, finalmente, qualcosa, e raccogliere, di tutti questi pensieri , solo una piccola lumachella di montagna, che però ti sussurra che tutto ritorna e che questo è il centro esatto, se non di ogni cosa, quanto meno di te stesso e dell’Appennino che ti circonda. Facendoti constatare, in definitiva, che il tempio italico d’altura, benché rotto in mille pezzi, continua a funzionare.

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