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Sull’Appennino con lo sguardo del lupo

La via del lupo è un libro emozionante. Quasi quanto percorrere l’Appennino sulle tracce di un branco di lupi. Perché Marco Albino Ferrari nel suo raccontare ha la capacità di farti sentire “a fianco”, con lui, in questa avventura, nella natura selvaggia, o quanto meno selvatica.

Scoprirete così studiosi che diventano trekkers e inventori di trappole, che vivono per mesi in una capanna di legno sulla Maiella; conoscerete le abitudini dei lupi e i loro comportamenti sociali, saprete riconoscerne le tracce e le fatte. Vi meraviglierete a guardare le immagini catturate nel bosco da una video-trappola. Ma soprattutto vi convincerete che oltre, ben oltre l’autostrada del Sole, sulla dorsale appenninica è tracciata la via del lupo, dai Sibillini alle Alpi marittime, passando per le foreste Casentinesi, il monte Cimone, l’Abetone e il parco dei Cento Laghi.

La via del lupo

Ma se seguire i lupi vi insegnerà anche a non temerli, accompagnare Marco Albino Ferrari in questa lunga traversata, vi consentirà di soffermarvi sullo sfondo. Quello sul quale si muovono i lupi, i selvatici e gli umani: l’Appennino, appunto. Del quale l’autore disegna delle descrizioni affascinanti, commoventi a tratti. Specie quando incontra sulla sua strada i luoghi che anni dopo il suo passaggio (2012) saranno sconvolti dal recente terremoto.

Visso, ad esempio. Descritto come “un luogo austero ed elegante”. “Dalla piazza principale, specie nel silenzio della mattina presto e prima che le strade si popolino, sembra che la natura debordi dai boschi e s’insinui tra le case, con i suoi cinguettii, i gridi improvvisi degli uccelli, gli odori di selva”.

 

E poi i Sibillini. “Quando si arriva a Passo di Gualdo, prima di ridiscendere sui vasti pianori carsici di Castelluccio, si ha l’impressione di trovarsi su una soglia che dà accesso a spazi occupati in gran parte dal cielo. Nel giro di un istante si avverte il cambio repentino delle scale spaziali. Ci sono montagne e orizzonti, ma soprattutto cielo. (…) Ed ecco che socchiudendo gli occhi per ripararsi dal sole, nel buio momentaneo percorso di riflessi sotto le palpebre abbassate, arriva quella vertigine che stavamo aspettando. La visione improvvisa dell’alta montagna porta una fuggevole emozione che tutto abbraccia: euforia, desiderio, leggerezza, grazia, felicità”.

E poi, infine, un’altra riflessione che oggi – nel post terremoto – diventa più cupa.  “Tra il Vettore ed il Bove, nel cuore pietroso dei Sibillini, ci si accorge però che questi scenari d’alta quota difficilmente potrebbero essere confusi con un paesaggio alpino. Siamo sugli inconfondibili Appennini. A dircelo è quel regolare senso di vuoto e di solitudine che ovunque si rincorre, dove l’occhio vaga libero su spazi aperti e apparentemente privi di presenza umana…”.

 

Ma è più avanti, più a Nord sulla via del lupo che Marco Albino Ferrari ci lascia un’immagine meno triste e per certi versi più gloriosa (per quanto di gloria ci sia nella bellezza) dell’Appennino. “Quassù si ha la visione d’insieme che riassume una parte significativa del paesaggio italiano, del vero Bel Paese, con la molteplicità degli scenari tra acqua, terra, roccia, boschi. Il mare in lontananza avvertito prima di tutto nella luce, la drammaticità delle rocciose Apuane, le colline digradanti nella versione benigna della natura fin verso i vigneti. Cosa c’è di più italiano di questo paesaggio offerto dalla cresta appenninica dove tutto è a portata d’occhio?”.
L’occhio del lupo che fa l’occhiolino all’occhio umano. E gli indica una via.
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Quel che ci mostra una “video-trappola” in Abruzzo…

 

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