Animali nel bosco
Dicono che morire assiderati sia come addormentarsi. Chissà. Io so solo che una storia così andrebbe raccontata in mezzo al bosco. Chi sta in città difficilmente la potrà capire. La prima cosa che mi ricordo di loro, quella che più mi impressionava, era il modo in cui comunicavano. Dopo tanti anni lontani da tutto erano di poche parole con i rarissimi visitatori del loro piccolo rifugio. E lo erano anche con gli amici che ogni tanto salivano su a trovarli, camminando per ore in una delle zone più inaccessibili degli Appennini. Ma dopo aver trascorso una giornata con Giulio e Francesca nei boschi intorno al posto che avevano scelto per il loro esilio selvatico, non potevi fare a meno di accorgerti che quando restavano appartati smettevano l’uso delle parole. A volte si carezzavano teneramente, in altri casi si scambiavano semplici gesti; ancora più spesso però si rivolgevano l’un l’altro imitando i versi degli animali.
Giulio nei momenti in cui voleva manifestare gioia abbaiava come un cane. Lo faceva talmente bene che la prima volta che lo sentì mi girai convinto di vedere l’animale.
Francesca usava più facilmente i versi degli uccelli: la sua specialità erano i passeri e i merli. E tra loro si capivano così. Era incredibile. Una volta trovai il coraggio di chiedergliene il perché. Francesca mi rispose: “Tu pensi davvero che le parole siano lo strumento migliore per comunicare?”.
Poi mi abbracciò tanto affettuosamente che provai imbarazzo. “Adesso restituiscimi questo parlandomene, se ci riesci”, mi disse mentre rideva e correva via.
Fatto sta che loro erano lì. Non erano nel bosco. Erano con il bosco. E con le montagne, con la neve, con le volpi, con i cinghiali, con le rocce, con le grotte, con i faggi e con i lecci. Vicino alla capanna stavano gli animali e l’orto che gli fornivano buona parte del cibo.
Dentro, i frutti del bosco conservati con cura. Un solo libro su una mensola. E dire che quando erano ancora in città nel loro appartamento c’era la più grande e disordinata biblioteca che avessi mai visto a casa di qualcuno. Era il libro delle avventure di Tom Bombadil, il personaggio inventato da Tolkien che vive nella dimora del bosco, padrone di niente e signore di tutto.
Gli chiesi perché avessero portato con loro soltanto quello. “E’ un libro per bambini”, mi disse Giulio, senza ulteriori spiegazioni.
Una volta gli domandai anche se avessero scelto quel posto e quelle montagne perché c’era passato san Francesco. Mi guardarono un po’ stupiti dalla banalità della mia domanda. E mi risposero di no.
Quella mattina di gennaio che andai su a trovarli avevo un brutto presentimento. Faceva un freddo terribile, nella notte era caduta moltissima neve e ogni cosa appariva congelata.
Quando non li trovai nella capanna invernale rabbrividii ancora di più. Le capre erano lì nel solito ricovero, ma loro non c’erano e di sicuro non avevano dormito nella capanna. Intorno non si vedevano tracce. Dove potevano essere? Al rifugio che usavano per l’estate, vicino ai pascoli? Ma perché? Con quel freddo e così tanta neve non ci sarebbe stato motivo. Andai comunque verso le cime senza ciaspole, affondando nella neve, e finalmente vidi di lontano il rifugio. Vicino c’era un grande albero solitario, completamente coperto da cristalli di ghiaccio che in quel momento brillavano al sole. Mi fermai a contemplarlo. Sembrava un enorme ciliegio in fiore. Poi entrai nel rifugio spostando la neve che ostruiva l’ingresso. Sul tavolo c’erano una lanterna, qualche candela e del formaggio. Li chiamai, ma nessuno rispose. La porta della stanza accanto era chiusa, la spinsi e li trovai così, abbracciati sulla branda, senza neanche un sacco a pelo. Coperti solo dai loro mantelli. Le mani senza guanti di Francesca strette al viso di Giulio. Erano morti assiderati, probabilmente da poche ore. Tornai di fuori incredulo, ma osservando l’albero riuscì solo a pensare alla somiglianza tra i cristalli di ghiaccio e le gemme primaverili.
Guardai dietro il rifugio. C’era una catasta di legna da ardere. Perché non avevano acceso il fuoco? Forse non c’erano riusciti? Impossibile, con la loro esperienza. Poi pensai qualcosa di stupido: gli animali non conoscono il fuoco. Per scaldarsi possono solo stare uno attaccato all’altro. Per vivere o per morire.
P.S. Prima del funerale uno dei nostri vecchi amici mi chiese se poteva leggere in loro memoria un brano tratto dal diario di Bobby Sands. Ricordava quanto Giulio e Francesca, prima della scelta di salire in montagna, si fossero appassionati alla storia di Sands e dell’indipendenza irlandese. Riteneva che anche loro si fossero lasciati morire, come Bobby Sands, per protestare contro qualcosa e che questo fosse il senso della loro fuga dal mondo. Gli risposi che, secondo me, non aveva capito nulla. Deposi sopra le loro bare due ramoscelli staccati dall’albero ghiacciato.
Questa storia ha vinto il concorso “Parole in corsa”, a Terni nel 2010