Oltre il terremoto

A che servono i terremoti? A che servono le montagne?

I terremoti sono dei grandissimi disastri. Fonte di sofferenze non solo materiali. È bene premetterlo. Perché se vai a Norcia, o a Tolentino e dici invece che i terremoti sono, o almeno potrebbero essere, anche delle opportunità, magari ti menano e probabilmente fanno anche bene. Oppure pensano che sei un camorrista.
Epperò bisognerà pur dirlo. Che questo terribile terremoto, l’ennesimo che scuote la nostra affascinante e fragile catena d’Appennino, può anche essere l’occasione – se lo vogliamo – per rimettere in discussione il futuro delle nostre montagne.

instagramcapture_eafbe827-9ef7-417e-88cf-5ed71c974f7d-1Ci sono dei precedenti, pensi, scorrendo la lunga lista dei disastri italici. Il terremoto della Val di Noto e dei monti Iblei nel gennaio del 1693 – ad esempio – fu forse il sisma più potente mai registrato in Italia, giungendo al 7,4 della scala Richter. Distrusse città e paesi, fece sessantamila vittime e le sue repliche tormentarono il territorio e i superstiti per quasi due anni. Eppure, anche da quella immane tragedia le città risorsero. E vennero ricostruite più belle di prima. Anzi, bellissime. Perché il barocco di Noto, di Catania, di Caltagirone, di Ragusa Ibla, oggi riconosciuto come patrimonio dell’umanità, fu una straordinaria affermazione della vita sulla morte, un trionfo non solo dell’arte, ma della resilienza umana. Tanto che in Sicilia qualcuno ti racconta che le tantissime statue scolpite nelle pietre dei palazzi, delle chiese e delle cattedrali barocche, servivano anche a “ripopolare” simbolicamente le città svuotate.

Allora: torniamo sui Sibillini e a Norcia dove stanno già facendo la fila per ricostruire la basilica di San Benedetto. Soldi, tanti, arriveranno per le chiese più importanti. Poi sarà lawp_20161120_12_59_34_pro volta delle aziende e delle case, ma per il momento una buona parte delle popolazione è “deportata“, ovvero costretta a lasciare la propria terra, a causa di scelte discutibili e di lacune culturali, oltre che – in alcuni casi – della malafede, da parte di chi prende decisioni a livello centrale.

Questo è un primo gravissimo problema, non solo per chi ne è vittima direttamente, ma per il futuro stesso dell’Appennino in Italia Centrale. Se la gente se ne va, rischia di non tornare. Se non torna, aree già scarsamente popolate, possono essere desertificate. Ed è un male per quei territori, ma anche per gli uomini e le donne che li abitavano o che potrebbero abitarli, che perderebbero gli straordinari influssi che da quelle terre gli derivano, in quanto a idee, cultura, creatività.

C’è dunque un problema immediato: fermare l’esodo,  creare le condizioni minime perché la gente ritorni. Per raggiungere questo obiettivo, oltre ai moduli abitativi e alle casette di legno, bisogna dare dei motivi, indicare dei progetti e suscitare delle speranze. In altre parole: creare un senso.

Poi c’è il problema di cosa ricostruire e come ricostruire. Ma per capirlo c’è forse da passare in mezzo ad una strettoia culturale (che riguarda anche i motivi e le speranze di chi dovrebbe e vorrebbe tornare nelle aree montane). Una strettoia culturale che parte da una domanda. A cosa servono le montagne?

La risposta, pensi, non sei certo in grado di darla. Puoi solo sentire quello che dicono in tanti, in queste giornate così dense, come lo sono solo quelle dei periodi di crisi.

Dicono di essersi accorti di amare questa terra più di quanto credessero. Dicono che non mollano. Che bisogna lavorare per un approccio più dolce ai problemi, anche quelli più gravi, con una visione lunga. Dicono di aver già iniziato a lavorare per ricostruire legami tra le città ai piedi dei monti e il territorio montano, perché nessuna città – neanche la più moderna – può vivere senza il suo territorio. gala
Dicono che bisogna darsi da fare affinché le comodità della tecnologia (che ad esempio ci consentono di lavorare in rete anche da un borgo arroccato sul dorso della montagna più discosta) possano integrarsi con le meraviglie di una natura che, per la prima volta nella storia dell’uomo, non è solo fatica e lotta per la sopravvivenza..

Dicono che bisogna fare di tutto affinché queste montagne non perdano il proprio sapore, e i propri sapori, sacrificandoli al fatturato nel brevissimo periodo, come purtroppo stava avvenendo negli ultimi anni. Dicono che bisogna tornare a camminare su queste montagne, per farci pace, per carezzarle. Perfino per tornare a sentire le profezie della Sibilla.

Il terremoto è un fenomeno naturale, con il quale occorre imparare a convivere. Ma ti insegna pure che occorre imparare a convivere con il tutto, con la vita, con la morte, con la rinascita e con la natura; ad avere uno sguardo più ampio, olistico direbbero quelli che non sempre riescono a farsi capire.
Bisogna sapecce sta’, direbbero invece quelli delle parti nostre. Anche il vivere in montagna ti insegna in buona parte queste stesse cose. Te lo insegna perfino il semplice frequentarle, ma con attenzione e rispetto e non con un approccio consumistico.

Insomma, anche se non sai rispondere alle domande più difficili, pensi che prima di tutto non possiamo perdere il rapporto con le montagne d’Appennino. Non possiamo metterle da parte e abbandonarle. Che non è solo un problema economico, o che – quantomeno – perfino l’economia ha bisogno di una visione più ampia.
Per questo una volta veniva dopo la politica.

E pensi pure che di queste cose ne stai discutendo con tante persone proprio perché c’è stato il terremoto. Una scossa che – come un cortocircuito – resetta, brucia, rompe, oppure fa nascere nuove idee.

4 pensieri riguardo “A che servono i terremoti? A che servono le montagne?

  • … è difficile capire cosa significa quando si vivono certe situazioni, ma questo post arriva al cuore e spiega tante cose. Grazie.

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    • Vivo al margine della zona del terremoto e quindi esito sempre a scriverne, non essendone colpito direttamente.So però quello che significa starci dentro…Ho letto sul tuo blog il discorso del sindaco di Visso che parla del terremoto come una prova che sta ricreando solidarietà e comunità. Il problema è far sì che tra tanti disastri, questi piccoli, ma grandissimi semi positivi, possano far rinascere una cultura nuova e antica per il popolo della nostra montagna umbro-marchigiana. Di questo volevo parlare. Questo stiamo provando a fare con tanti amici, anche qui in Valnerina e a Terni. Grazie per il tuo commento…

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  • Pingback: Appennini, un sentiero lungo un anno – APPENNINI

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