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Appennino elettrico, un piccolo sogno steampunk

Ci sono luoghi d’Appennino dove futuro, presente e passato si confondono. Nella valle del Chienti ad esempio puoi camminare per antichi sentieri e traversare guadi, passando sotto i ciclopici viadotti di cemento armato della nuova Quadrilatero. Strani incroci e anche piuttosto perversi. Ma poi arrivi in un posto che si chiama Gelagna, tra Colfiorito, Muccia e Serravalle. Toponimi da romanzo fantasy e atmosfere da contea degli hobbit, con sorpresa finale dal sapore vagamente steampunk.

 

Qui a Gelagna (Bassa) il fiume è deviato in opere idrauliche d’altri tempi, con cascatelle, invasi, raccolte che servivano a far girare le pale e gli ingranaggi dei vecchi mulini, quando i mugnai marchigiani erano benestanti e maramaldi e con un po’ di cresta sul grano facevano sempre più grana. Finché poi non arrivò la tassa sul macinato e perfino i contatori dei giri delle macine.

Ma a Gelagna i nonni del signor Fausto Barboni erano mugnai intraprendenti. All’inizio del Novecento decisero che era arrivato il tempo di saltare sul treno della modernità.
Che idea! Un mulino elettrico! Anzi un mulino che invece di molare, produce energia!

Cioè: il nonno di Fausto, come peraltro diversi altri colleghi mugnai d’Appennino, capì che con un discreto investimento in macchinari poteva entrare nel nuovo mondo dell’idroelettrico. L’acqua corrente che scende dai monti diventava…corrente elettrica. Un miracolo tra scienza e magia, neanche fosse passato di lì quel diavolaccio visionario di Nikola Tesla con i suoi lampi di genio.

Fatto sta che sulla porta del piccolo edificio accanto al molino di Gelagna, il nonno di Fausto scrisse (a caratteri liberty) “Officina Idroelettrica – Barboni Domenico e figli” e oggi (per un altro miracolo, o per un corto circuito, chissà…) tutto è tornato a funzionare come allora.

 

Ci sono una turbina con una lunga cinghia, un quadro elettrico con i contatori a lancette esteticamente ineccepibili, appuntati su una bianca lastra di marmo. Ci sono gli amperometri, gli alternatori, gli interruttori in ceramica e in bachelite, le valvole e i fili di rame che portavano la “luce” nelle case vicine e poi sempre più giù, fino a Serravalle. Perché allora i produttori delle officine idroelettriche potevano vendere direttamente alle famiglie della zona. Che qualche volta ricambiavano gli ex mugnai, quelli che facevano la cresta sul grano, fregandogli un po’ di corrente con un filo attaccato prima del contatore…

 

Dicono che ci sia un’atmosfera steampunk nel mulino-officina di Fausto a Gelagna, intendendosi per steampunk quella corrente non elettrica ma fantasy che immagina un’incursione del futuro nel passato di fine Ottocento, con il vapore e l’energia elettrica che tornano ad essere, un elemento narrativo capace di ogni progresso e meraviglia.

Ma di meraviglia qui te ne viene in mente un’altra: quasi fosse – al contrario – un’incursione del passato nel futuro. Ovvero la possibilità per le piccole comunità d’Appennino di tornare ad autoprodursi l’energia. Idroelettrica, certo. E (perché no?) eolica. E pensi che forse potrebbe essere anche questa un’altra via per ri-abitare le terre alte…

Fausto Barboni ha un bel viso e battute da marchigiano scettico e disincantato, ma conserva un bel po’ di quella “luce” che gli hanno trasmesso i suoi avi. A lui che ha la casa distrutta dal terremoto a Muccia, bisognerà pur dirglielo una volta. Invece di rispettare le strane e contraddittorie leggi attuali (liberiste/autoritarie) e reimmettere in rete la corrente prodotta dalle vecchie ma ancora efficienti macchine, torniamo a mandarla direttamente ai vicini e magari fino a Muccia, per ridare la scossa (stavolta non di terremoto) a questo territorio che dovrà pur rialzarsi!

E’ solo un sogno un po’ steampunk. Ma è con i sogni che i molini si trasformano in turbine.

P.S. Il mulino elettrico di Fausto Barboni a Gelagna esiste veramente. Visitatelo! www.ilmulinodigelagna.it

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