Montagna amanteMontagna madre

Come salvare il drago appenninico e far rinascere l’uomo vivo

Queste non sono montagne, ma una lunghissima cresta di drago che emerge dalle acque del Mediterraneo. Immaginatelo così, il nostro Appennino. Se lo cavalchiamo non siamo più in questo tempo, siamo altrove. E solo in groppa a un drago, possiamo provare a lanciare uno sguardo su un futuro diverso…prendendo dei rischi, certo, perché il drago non si lascia cavalcare facilmente, cercherà di disarcionarci.

L’Appennino/drago, che pure custodisce un tesoro, è ora ridotto a margine. È l’Appennino disabitato, sfollato, abbandonato, ma in un certo senso liberato, perché, come tutte le terre marginali, oggi vive una nuova possibilità e attende l’aurora della sua solitaria fortuna.

La fortuna di essere a lato, come dice Giovanni Lindo Ferretti (L’Italia profonda, GOG) di essere oltre i confini di un mondo che sta perdendo la strada. La fortuna di essere quasi invisibile all’occhio di Sauron. La fortuna di essere antieconomico.

“Io credo che la fortuna dell’Appennino stia ora nell’essere a lato, più vi si accomoda e meglio è. Se c’è salvezza sta nell’ombra e ci si salva per qualcosa che in questo momento non si sa cosa sia né se avverrà. Si tratta di salvaguardare, conservare, difendere attitudini, comportamenti e saperi che al momento non hanno ragion d’essere, sono fuori tempo e fuori luogo. Si tratta di coltivare e allevare uno sguardo libero e fiero sui secoli, esposto al tempo senza essere succube del contingente. Il contingente passa, l’eterno dimora”.
GLF

Il Ribelle di Ernst Jünger sente di non appartenere più a niente e “varca con le proprie forze il meridiano zero”.
Il nostro meridiano zero è quello che separa i centri commerciali dalle valli e dalle cime d’Appennino: è lì il sentiero stretto che porta al passaggio al bosco. Che porta al nuovo incontro con il drago, con le prime cose, con i principi che restano vivi nelle terre trascurate, che sono, a pensarci bene, il vero tesoro custodito dal drago, dalle montagne, in una forra, in una grotta, nel bosco più fitto, o nel nostro inconscio più profondo.

Occorre dunque cercare di salvare il drago appenninico da chi lo vuol morto e ancor più da chi ne vuol fare un fenomeno da baraccone, un parco giochi o una riserva. Occorre salvare il rapporto dell’uomo, fosse anche un semplice visitatore, con la natura appenninica e con il sacro che essa ha generato e custodisce. Difendiamo perciò il paesaggio prima ancora della natura, cerchiamo una nuova armonia…

Andare in Appennino non è sport, non è trekking, non è un’impresa alpinistica (o appenninistica) e neanche un’impresa commerciale: è l’immersione in uno spazio libero e tutto quello che ne consegue, compresi gli scrolloni del drago.

È solo lì sulla schiena del drago appenninico che l’uomo vivo è in piedi, come nella festa della resurrezione di Scicli, cantata e ballata da Vinicio Capossela, come in una Resurrezione appenninica, sempre più auspicabile e necessaria…

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