Una corsa all’oro d’Appennino: come trovarlo?
Caro Appennino, che succede? Ti ho lasciato che eri svuotato, sfollato, terremotato, franato e anche un pochino depresso, tanto che persino le pecore e le vacche ti pascolavano piuttosto controvoglia.
In questi ultimi mesi, invece, non sento altro che parlare di te.
All’inizio la cosa mi ha preoccupato, pensando ad un tuo improvviso peggioramento. E invece no, incredibile! Sono voci di speranza, di gente che arriva a dire che avrai un futuro migliore del tuo glorioso passato e che presto, addirittura, tra le tue montagne comincerà una corsa all’oro…
E non è mica gente qualsiasi a dire queste cose. Pensa che c’è persino un professore, un sociologo, fondatore del Censis, l’istituto di ricerca che studia le abitudini degli italiani; si chiama Giuseppe De Rita questo signore, che dopo aver tanto analizzato dati, ora dice di te:
“…se, come italiani, abbiamo superato anni difficili, lo dobbiamo a valori (di sobrietà, di risparmio, di controllo dei comportamenti) che hanno origine e sede primaria proprio nel mondo appenninico”
Insomma questo De Rita ci si è messo di punta a radiografare lo scheletro d’Italia, ovvero proprio te caro Appennino, per capire se le tue vecchie e tremolanti ossa saranno ancora in grado di sopportare il peso della polpa, che certo è scivolata a valle e sulle coste, ma che per ritrovare un po’ di tono, secondo lui, dovrebbe tornare ben attaccata alla sua spina dorsale.
De Rita ha fatto pubblicare un interessante rapporto, come solo il Censis sa fare. Ne è venuto fuori che è inutile pensare a te, caro Appennino, applicando i vecchi schemi. Le comunità rurali e montane che t’hanno popolato per tanti secoli in mille borghi, in abbazie e conventi immersi nel verde, non ci sono più. Ma ne sono nate e ne stanno nascendo altre. Di gente nuova, di gente che resiste, che è tornata, o che vuol trascorrere un po’ della propria vita con te, per recuperare il valore del tempo, magari nei fine settimana, oppure per inventarsi un nuovo modo di lavorare e di vivere, conservando la memoria di ciò che è stato il tuo carattere.
De Rita le chiama “tribù”, queste nuove comunità. Chi te l’avesse detto che saresti diventato una catena montana popolata di tribù. Come dici? Ah sì, certo: due o tre millenni fa era già successo e si chiamavano Umbri, Piceni, Marsi, Peligni, Sanniti, Sabini, Irpini… Hai la memoria lunga tu! Ma le tribù che dice De Rita sono un’altra cosa, in effetti.
In qualche modo le nuove tribù hanno a che fare con la tua bellezza, con la tua stessa memoria, con la tua cultura, con i tuoi spazi liberi.
Per fartelo capire meglio, ti racconto di un altro signore che parla di te: è un architetto, si chiama Luigi Dal Pozzolo, pensa e scrive per conto di una Fondazione, la Fitzcarraldo. Non ci crederai ma ci sono un mucchio di fondazioni importanti che ti stanno studiando. Dopo ti racconto anche delle altre. Ma intanto secondo Dalpozzolo della Fitzcarraldo, il tuo futuro è legato a filo doppio con il tuo fascino, caro Appennino mio. Un fascino che viene dal tuo “patrimonio culturale fatto di paesaggi, pievi, borghi storici, infrastrutture agricole, terreni e boschi degli usi civici e della comunanza”.
Ma tutto questo non basta: il patrimonio, lasciato così a sé stesso, se ne va in malora. Occorre una messa in valore. E dunque?
“…questo passaggio è possibile solo attraverso una valorizzazione (del patrimonio culturale) che ne veda l’interazione con il capitale culturale e in special modo con il capitale culturale immateriale dei residenti attuali e dei residenti futuri. E’ il capitale culturale delle nuove generazioni e di coloro che tornano a insediarsi nelle zone interne il reagente indispensabile per far emergere modelli di vita che possano usare il patrimonio culturale e il paesaggio come risorsa attiva per la residenza e per lo sviluppo”.
Insomma, chi verrà da te, magari con le nuove tribù che diceva De Rita, deve avere una cultura (non necessariamente quella che s’impara nei libri) e una sensibilità tali da far sì che si crei un legame “magico”, ma allo stesso tempo digitale e ultramoderno con il tuo patrimonio di bellezza, di storia e di memoria di vita, persino con il tuo genius loci…
Il patrimonio culturale materiale e immateriale può diventare asset cruciale per l’occupazione a partire da una riflessione su come innestare il futuro digitale nella memoria dei luoghi, come declinare al futuro una capacità di vivere in accordo con il genius loci in territori a bassa densità, ma condividendo infrastrutture di connessione – anche digitali – e capacità d’impresa.
Il futuro digitale e la memoria del luogo. Su questa strada, Fondazioni ricche a livello economico e intellettuale come Vodafone, Merloni, Garrone, Symbola, puntano la propria attenzione su di te, mio caro Appennino.
La Fondazione Aristide Merloni, quella che ha commissionato lo studio del Censis, proprio nelle scorse settimane ha convocato una sorta di stati generali dell’Appennino a Fabriano, nel cuore della cosiddetta macroregione appenninica, nel tuo cuore, insomma.
Cosa ne è venuto fuori per te, caro Appennino? Intanto l’approfondimento di un progetto al quale hanno affibbiato un nome un po’ anglosassone, ma che ci vuoi fare? Bisogna stare al passo coi tempi, bene o male… Il progetto si chiama Save the Apps e mette insieme la applicazioni digitali (apps) e Appennino. Antico e moderno, opportunità digitali e culturali.
Chiacchiere? Sogni virtuali? Oppure idee concrete? Staremo a vedere. Intanto ci sono il progetto “Vacca Nutrice” per gli allevatori, un altro progetto per la coltivazione delle nocciole, che punta alla qualificazione, alla modernizzazione (anche con l’intervento dei droni) e all’aggregazione dell’offerta, da sviluppare in collaborazione con Ferrero.
E poi il progetto di foodrating che mira a mettere in competizione tra loro i produttori di prodotti tipici, puntando sul desiderio dei consumatori di cercare il “numero 1”, come avviene già nel settore del vino con il portale www.bestoftheapps.it per mettere in mostra i prodotti migliori d’Appennino; il progetto dell’Home Sharing, in collaborazione con Hurry che metterà a disposizione le sue piattaforme di Sharing economy; un progetto per rendere fruibili i tanti eremi disseminati sugli Appennini, rispondendo così alla crescente domanda di sentieri ed itinerari spirituali, anche attraverso l’app e il portale https://apenninesdiscovery.bestoftheapps.it/
Tutto questo non basta di certo, come scrive Guido Castelli, che ha appena concluso due mandati da sindaco ad Ascoli Piceno e che ha partecipato all’iniziativa di Fabriano. Serve piuttosto la definizione di…
…un cartello, un Rapporto nazionale, una proposta per l’Appennino da sottoporre al Governo di Roma e a quello di Bruxelles (anche in previsione della prossima programmazione dei fondi UE 2021-2027). L’ambizione è quella di fare dei territori collocati sulla spina dorsale del Paese una “questione nazionale”
Una questione nazionale che da un lato – e tu Appennino lo sai bene ascoltando ogni giorno i lamenti dei tuoi abitanti – deve passare necessariamente per una semplificazione normativa e attraverso una serie di agevolazioni fiscali strutturali. Ma dall’altro lato, come ti ho detto prima, deve camminare anche sulla testa, o sulle gambe dei poeti, degli artisti appenninici e di tutti coloro che sono innamorati di te, più o meno segretamente. Come Franco Arminio e Giovanni Lindo Ferretti. Il loro dialogo è diventato un pamphlet, un libro (L’Italia profonda, edito da Gog), che sta facendo riflettere e discutere, tanto da far scrivere a un recensore del blog In Terris…
“Se c’è una strada che porterà l’Italia fuori dalla palude che ristagna ai margini del mondo globale, non è l’imitazione di modelli allogeni, ma la riscoperta dell’essenza autentica della nostra terra. Il Belpaese non si rilancerà salendo su boschi verticali, piuttosto lungo la dorsale appenninica, dove sono incastonati luoghi che parlano del genio italico”
E così, se giustamente Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, parlando d’Appennino avverte che…
“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. E si tratta comunque di un fuoco fortemente vilipeso dalla globalizzazione e della secolarizzazione della società…
…Franco Arminio risponde con disincanto e speranza, come si conviene a un paesologo alto irpino:
“Io penso che resterà tanto e che l’Appennino sarà il cuore dell’Italia. Poco alla volta si accenderanno focolai di senso, azioni politiche e poetiche. Insomma saranno territori più appetibili di come sono adesso. Il punto è creare un’attenzione che non sia devastante, omologante. L’Appennino ci interessa operoso ma anche inoperoso, ci interessa per quello che c’è ma anche per quello che non c’é.
E Giovanni Lindo Ferretti, parlando della tua fortuna, caro Appennino, dice che è quella di essere sostanzialmente un rifugio anti-moderno, in tempi in cui la modernità, o meglio il modernismo sono opportunamente e inevitabilmente messi in discussione.
Tu, caro Appennino, anche se non te ne rendi conto, sei insomma una miniera. Una miniera d’oro: di bellezza, di valori messi da parte (come te), di opportunità, di alternative. Come la nuova transumanza che nei mesi scorsi ha convinto anche le tue vacche a essere più felici del solito, ripercorrendo gli antichi tratturi fino al Molise.
Non saprei dire se i progetti delle Fondazioni, delle quali ti ho raccontato, basteranno a far tornare vivi i tuoi borghi abbandonati, o spaccati dai terremoti e dalle frane, dove ancora tutto è drammaticamente fermo e ingessato dalla burocrazia. Di sicuro servirà il coraggio dei pionieri, come quelli della corsa all’oro.
Ma qui, tra le tue montagne l’oro bisogna riconoscerlo ed è più difficile che nel Klondike, perché per farlo ci vuole uno sguardo diverso da quello che usiamo quando raccogliamo una pepita, oppure entriamo in una banca.
Il tuo oro, dunque, solo tu ci puoi aiutare a riconoscerlo, caro Appennino!
Stammi bene!