Montagna madreMontagna musa

I paesi non muoiono, semmai si spostano

In Appennino ci sono paesi che sembra se li stiano per mangiare i boschi, dove a far la guardia al gregge di case diroccate c’è rimasto solo un campanile senza campane. Dove il cimitero, con i nomi appena leggibili sulle lapidi, pare il luogo più vivo: perché, almeno, c’è ancora chi chiacchiera seppur sottovoce.

Sulla mappa degli Appennini ci sono tante bandierine che segnalano le sconfitte e – come sempre – c‘è chi gode a vederle, manco fossero le sconfitte degli altri. Invece le sconfitte dei paesi abbandonati negli Appennini sono le nostre: perciò quei paesi bisogna guardarli con attenzione e visitarli con rispetto, entrando in punta di piedi.
Per decenni, abbiamo vilipeso la civiltà dei paesi, e abbiamo giocato a buttar via tutto. Adesso, magari, vorremmo recuperarli come fossero musei, o peggio ancora parchi gioco, oppure residence per i week end, amanti del fine settimana.

Al centro dell’Appennino, al centro dell’Umbria e d’Italia, in mezzo a piccoli monti, i Martani, le montagne di Marte, frequentati dagli dèi più antichi e dai santi più amati proprio perché camminavano sulle orme di quegli stessi dèi, c’è uno di questi luoghi, così solitario, così diroccato, così perduto, da sembrare il paradigma dei paesi abbandonati: la sua apparente e dirompente sconfitta ha affascinato persino Wim Wenders, ma questo è un fatto incidentale.

Si chiama lo Scoppio, lo scopulus, lo scoglio. È un pugno di case sulla roccia, un pugno quasi sgretolato, ma che resta serrato, nonostante tutto. Però, quasi giocando col suo nome, pur essendo un luogo del silenzio, ha deciso di tornare a far rumore.
Così proprio a Scoppio, i Comuni dei Martani (che spesso si dimenticano di esserlo), il Cai, le Pro Loco e tante associazioni, hanno deciso di ritrovarsi sabato 17 luglio e di provare a stringere un patto. Lo faranno con una stretta di mano, o d’avambraccio, come i conti longobardi delle Terre Arnolfe, di questa piccola entità territoriale autonoma al centro di tutto e a pochi chilometri da Spoleto, la capitale del Ducato.

Il patto si chiamerà La Carta dello Scoppio: non avrà ancora nulla di formale, ma ha già un obiettivo chiaroRitrovare lo spirito del paese e del paesaggio e contaminarci tutto il territorio dei Martani.

Come fare? Ad esempio provando a riprenderci i nomi dei luoghi, per non dimenticare che i luoghi hanno un nome e non sono anywhere, non sono uguali uno all’altro, come qualcuno vorrebbe farci credere. Provare a riprenderci il nostro posto non solo come individui, ma come comunità, magari partendo dall’esempio di quelle case dello Scoppio che restano in piedi seppur malridotte, sostenendosi l’una con l’altra. Oppure possiamo provare a riportare a casa, dentro di noi, il senso del sacro, che qui sta nello spazio vuoto lasciato dalle campane che non ci sono, o – più semplicemente, in uno sguardo che si apre dagli scogli sopra il fosso della Matassa e che ti mette addosso la voglia di volare senza sbattere sugli schermi.

Scoppio sarà uno scoglio, sarà un suono silenzioso e fragoroso, sarà  la melodia di una piva e di una zampogna, ma non sarà più un paese morto. Semmai sarà un paese che si è spostato: dentro di noi.
Magari non lo ricostruiremo mai, ma ci confermerà la nostra voglia di montagna e di ritorno in Appennino, come per Ulisse, quando aveva nostalgia di Itaca.

I paesi in realtà non muoiono, si spostano. Può morire un frammento, un borgo, una frazione, magari muoiono gli abitanti e finisce lì. Il paese è una creatura dura a morire, mettiamoci in testa che il paese non finisce.
Franco Arminio

Appuntamento allo Scoppio di Acquasparta, sabato 17 luglio alle ore 10 con buoni propositi per i Monti Martani e l’ottima musica dei Tranceltic.
Sarà comunque un primo passo…

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