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Davanti al fuoco

C’è qualcosa nel guardare il fuoco, nella sensazione che si prova a sederci davanti, nell’annusare l’odore della legna che arde; qualcosa che non è spiegabile con la ragione…

Per questo, forse, nelle case d’Appennino il fuoco non si spegneva mai e prima di coricarsi era in uso salutarlo. Coprendo le braci con la cenere si diceva: “Sia lodato Gesù Cristo, dormi, dormi”. Oppure, si tracciava un segno di croce sopra la cenere e si mormorava: “Dio pe’ casa, li diavoli sotto la bracia”. La mattina, al risveglio, il primo gesto era sempre per il focolare, si scopriva la brace, la si ridestava con il soffio, quasi un gesto magico, e si alimentava la fiamma con legna nuova.

Il focolare domestico era dunque un piccolo fuoco di Vesta, elemento di vita pratico e simbolico al tempo stesso. E il rapporto con il fuoco di casa era ben diverso da quello che si ha con una stufa a pellet o con il termosifone…

Tutto sta nella memoria lunga che ci trasmette il nostro patrimonio genetico. Tutto sta nei ricordi atavici della sacralità e dell’importanza del fuoco nelle interminabili notti trascorse intorno alla fiamma dai nostri antenati ad attendere il miracolo quotidiano e stagionale del ritorno della luce del sole, a scaldarsi, a cuocere gli animali cacciati e soprattutto a proteggersi. Sono sensazioni talmente radicate nel nostro inconscio che cercare di estirparle è un’operazione difficile, quasi impossibile, comunque potenzialmente dannosa.

Lo è ancor più nelle case di montagna, in Appennino, dove la memoria di un uso sacrale e sociale del fuoco è più recente. Nei borghi montani dell’Appennino centrale, fino a settant’anni fa, prima dell’era delle Tv e degli schermi, davanti al focolare si traevano auspici dalla direzione delle lingue di fiamma, previsioni meteorologiche (se il fuoco scrocchia arriva la neve), s’interpretavano i suoi borbottii (“…senti, stanno a di’ male de noi”), ci si proteggeva dall’ingresso degli spiriti maligni nelle case…

Ma il focolare domestico non era solo il ritrovo serale della famiglia, con i bambini che sedevano sui ceppetti e gli anziani in posizione privilegiata per alleviare i dolori con il calore della fiamma. Il focolare era occasione di socialità.

Stasera ce jimu a sede’ a casa de…”, ovvero: stasera ci andiamo a sedere a casa di…
Non era un invito a cena, ma un uso comunitario del focolare. Nelle notti d’inverno, dopo la cena, una famiglia intera si trasferiva in un’altra casa del borgo, davanti a un altro focolare, da condividere con un’altra famiglia.

Così due o più famiglie si riunivano davanti a un focolare, per parlare, per scherzare, per trasmettersi informazioni, racconti, pettegolezzi e maldicenze (ben prima dell’invenzione dei social), tecniche lavorative e tradizioni, ma non solo. Se la riunione avveniva nel mese di novembre si recitavano insieme le orazioni per i defunti dell’una e dell’altra famiglia.

Una preghiera comunitaria per i propri cari, per i Lari e i Penati domestici, per le anime familiari, in puro stile appenninico di aiuto reciproco.
E poi, siccome nello spirito appenninico il senso dell’utilità non è mai mancato, si metteva in evidenza un risvolto pratico di quest’usanza: “Scallasse tutti assieme non costa gnente: do’ se scalla uno, se scalleno tanti”. In sostanza le visite a turno ai focolari delle altre famiglie del villaggio o del borgo, consentivano un notevole risparmio di legna.

Dunque, se nel conteggio degli abitanti di un paese e di un borgo in passato il calcolo si faceva sulla base del numero dei focolari, ovvero dei fuochi accesi, un motivo evidentemente c’era. 

E oggi che i fuochi d’Appennino sono in parte spenti, per riscaldare gli animi, più che i corpi, occorrerebbe forse ricominciare da lì: riaccendere quei fuochi.

Fuochi da riaccendere non necessariamente a livello fisico (che pure non sarebbe male), ma riattizzando, come da sotto la cenere, come facevano i nostri bisnonni ogni mattina, i valori di condivisione, trasmissione, tradizione che il focolare evocava e che l’Appennino cullava.
 

NOTE: informazioni sulle tradizioni del focolare in Appennino tratte da “Tematiche del pensiero religioso e magico”, di Mario Polia, EdiCit.
Foto tratta da http://albertozafferano.com/

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