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In soccorso di Gondor o in onore degli dei? I fuochi sacri sui monti della Sabina

C’erano connessioni tra le montagne d’Appennino prima dell’invenzione della fibra ottica, o dei ripetitori? Senza scomodare la fantasia di J.R.R. Tolkien e i fuochi di segnalazione di Gondor sulle cime dei Monti Bianchi, possiamo immaginare qualcosa di simile sulle montagne intorno a Roma e verso i contrafforti dell’Appennino, sui Monti Sabini e Martani?

A guidarci c’è un’antica storia, tramandata oralmente, proprio tra Umbria e Sabina. Tre santi fratelli sarebbero saliti su tre cime non distanti, per ritirarsi in preghiera. Erano Sant’Oreste, San Pancrazio e Sant’Erasmo. Una volta preso possesso dei loro eremitaggi, dopo aver pregato, i tre santi – racconta la leggenda – si salutavano, ognuno dalla propria montagna.

Leggende popolari, certo. Fatto sta che Sant’Oreste si ritirò sul monte Soratte, avamposto d’Appennino verso Roma; San Pancrazio, cavaliere, con tre balzi salì sulla cima del monte che ancora porta il suo nome, nei pressi del paese di Calvi, del quale è patrono, al confine tra Umbria e Lazio. Infine, Sant’Erasmo trovò il suo rifugio sulla montagna che domina la valle ternana tra Cesi e Torre Maggiore, dove c’è ancora un’antica chiesa che gli è dedicata.

Sopra ognuna di queste tre montagne, oltre alle chiese dei rispettivi santi, ci sono interessanti aree archeologiche che rimandano a culti antichissimi, preromani, poi utilizzati in epoca romana e successivamente cristianizzati.

Aree sacre importanti e affascinanti, come quella del tempio di Torre Maggiore e dell’arce di sant’Erasmo, o come il tempio di Soranus-Apollo sul Soratte, Sul monte San Pancrazio, accanto alla chiesetta dedicata al santo, ci sono i resti di un tempio del VI secolo a.C.. Poco più in là molti moderni trasmettitori. Come peraltro ce n’erano a Torre maggiore, quasi un destino, a conferma che comunicare tra queste cime non è certo difficile. Non lo è per le moderne aziende di telecomunicazioni, non lo era per Erasmo, Pancrazio e Oreste, ma neanche per chi le frequentava prima di loro.

Fuochi nelle notti scure, all’alba della storia d’Italia, si potevano scorgere a centinaia di chilometri. Cosa si comunicasse da queste cime e se da esse ci fosse un collegamento diretto con l’Urbe (che visivamente c’è), questo non è dato sapere…

L’arce di Sant’Erasmo di Cesi, in Umbria

Ma la notizia di un fuoco acceso a Torre Maggiore poteva arrivare in pochi minuti a Roma e al Tirreno o viceversa. E da Torre Maggiore rimbalzare per altre cime e per altre aree sacre, magari fino all’Amiata, o al Subasio, oppure sulla dorsale, verso l’Adriatico, tramite i Sibillini.

I fuochi accesi potevano servire d’allarme come per Gondor nel mondo fantastico della Terra di Mezzo? Oppure in questa ben più reale, ma non meno epica, terra di mezzo appenninica servivano a richiamare l’attenzione delle popolazioni italiche sulle sacre cime in occasione di eventi legati ai culti che vi si praticavano?

A sostegno di quest’ultima idea, tra Monte San Pancrazio e il Soratte, c’è un altro punto interessante: l’altura sulla quale sorge il borgo di Vacone, che prende il suo nome dalla sabina dea Vacuna.

Dalla piazza del paese si gode un panorama mozzafiato e si vedono sia la cima del Soratte che la dorsale che conduce al monte San Pancrazio. Qui, sotto la chiesa di San Giovanni Battista c’era il tempio alla dea Vacuna, il fanum putre Vacunae cantato da Orazio. E anche qui, forse, si accendevano fuochi sacri ben visibili dalle valli e che, in qualche modo triangolavano con quelli delle altre cime.

Il borgo di Vacone in Sabina

Dovevano essere splendenti questi fuochi, numinosi e luminosi nelle notti d’Appennino, allora certo senza energia elettrica, ma con molte e diverse energie.

«Gondor ha acceso i suoi fuochi e invoca aiuto. La guerra è scoppiata. Vedo fuoco su Amon Dîn e fiamme ad Eilenach; e lì ad occidente vedo Nardol, Erelas, Min Rimmon, Calenhad e l’Halifirien alle frontiere di Rohan»

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