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Ecco Lucina: le apparizioni della signora dei boschi

C’era un anziano montanaro d’Appennino che spesso accompagnava comitive di ragazzini sui sentieri dell’Italia centrale. Instancabile come un lupo, capeggiava sempre la fila. Nelle fresche mattine di primavera la compagnia traversava un fitto bosco di lecci, oppure s’inerpicava in un’abetaia, o magari il sentiero si perdeva in una faggeta. Era lì, allora, che il vecchio montanaro alzava lo sguardo e osservava i raggi di sole filtrare tra le foglie. Così,  come ad un segnale, lui arrestava il cammino, il suo e quello della “truppa”. Si girava verso il seguito di marmocchi apprendisti camminatori e, con un bel sorriso dipinto in volto, esclamava: “Ecco Lucina! Guardate!”.

In quel momento, ai giovani esploratori sembrava che la loro guida si riferisse semplicemente alla piccola luce del sole che rompeva le ombre e penetrava nel sottobosco, accendendone all’istante i colori primaverili. Ma non era così, non era solo così. Quell’anziano la sapeva lunga. Molto più lunga delle sue escursioni, che pure spesso terminavano ben oltre il tramonto.

La sua Lucina era una dea, una buona dea che arrivava da un passato talmente remoto da essere quasi prossimo al presente. Almeno se si immagina il tempo in maniera circolare. E lui la continuava a riconoscere, forse perché non aveva smesso di credere alle sensazioni che gli trasmettevano i geni dei suoi antenati, dei suoi Lari, oppure – più semplicemente – i geni degli alberi.

Fatto sta che, giunti al bivacco e accesa la pipa, raccontava di Diana, Lucina, la signora dei boschi e dei monti. Una dea nata qui, tra queste cime, ma che si era mostrata allo stesso modo a tanti altri montanari, in terre molto lontane.
Diana, compagna di Silvano e di Fauno, potnia theròn Πότνια Θηρῶν, signora degli animali.

Diana che aveva amicizia con i cervi e con le oche selvatiche; Diana cacciatrice, quando la caccia significava diventare tutt’uno con l’animale cacciato e la freccia era solo un tramite divino.

Diana, dea o dia, Diana alter ego femminile di Giano, il dio degli inizi, italico e appenninica; Diana dalla quale hanno preso il nome le janare, streghe, fate, ancelle, sacerdotesse?
Diana numen silvarummontium custos nemorumque, venerata sulla cima del monte Algido nel Lazio e in mille altri luoghi/luci d’Appennino.

Diana la triplice dea, giovane vergine, madre e anziana. Diana che aiuta le donne ad avere figli, come la Santa Maria di Pietrarossa, raccontava la vecchia guida davanti al fuoco della sera. Parlava della chiesa costruita proprio sotto le nostre montagne, sotto la città di Trevi, che forse era Trevia, attributo di Diana. Quella chiesa, nella più bella campagna umbra, affonda le sue radici in un tempio di Diana e per secoli le ragazze sono venute qui a implorare prima la triplice dea, poi Maria Santissima, infilando l’indice nel foro di una pietra rossa e attingendo l’acqua nel pozzo di San Giovanni, nei giorni del trionfo della luce.

Diana, soprattutto, divinità della luce. Ma quale luce? Quella diafana della luna? No – diceva il montanaro – quella della luna è una storia che nacque molto più tardi. Tra queste montagne, tra questi boschi, Diana era la dea della luce filtrante, della luce che traspare, splendente d’improvviso chiarore nella radura boschiva, nel lucus. Un fenomeno, un’apparizione, un miracolo, una teofania. Una meraviglia riposta in un angolo del nostro animo, che fatichiamo a estrarre, che dubitiamo di vedere tra le mille ombre che ci circondano.

Per questo Diana è anche Lucina, la dea del luogo chiaro, dove filtra la luce del giorno.

Perciò, come suggeriva quel vecchio montanaro, non vi stancate mai di camminare nei boschi d’Appennino, sacri come e più delle chiese, templi ancestrali. Fatelo in una mattina di primavera. Sarà lei a trovarvi e non potrete che riconoscerla, esclamando stupiti: “Ecco Lucina!”.

Montium domina ut fores
Silvarumque virentium
Saltuumque reconditorum
Amniumque sonantum…
—-
Regina dei monti,
e dei verdi boschi,
e dei pascoli nascosti,
e dei torrenti fragorosi…

(Catullo)

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