Montagna madre

Pensare i Martani come una bioregione?

I prati sommitali, le faggete, i fitti boschi di lecci, gli olivi, qualche vigneto. In mezzo tantissimi animali selvatici, prodotti spontanei della terra, acque, cavità sotterranee. E poi i resti di castellieri e di templi arcaici, torri, rocche, pievi, abbazie, ruderi della civiltà agraria. Più giù i paesi, a valle o nella fascia collinare, le città. In mezzo, sospese, le storie. Questo è il nostro luogo, nella sua interezza che comprende anche l’orizzonte, con il cielo e le nuvole che corrono con la tramontana, o che s’illuminano nelle aurore, con gli uccelli che disegnano le loro geometrie, che una volta eravamo in grado d’interpretare. Di questo luogo siamo parte, anche se – sempre più spesso – ce ne dimentichiamo cercando rifugio in altri mondi urbani, separati e virtuali.
Proviamo allora a cambiare la prospettiva, invece che dalla valle partiamo dalla cima; invece che dal centro, partiamo dal margine.

Sui Monti Martani, ad esempio. Proviamo a immaginarli non solo come un piccolo massiccio montuoso al centro dell’Umbria, appendice occidentale dell’Appennino, non solo come un’isola montana e abbandonata tra le valli umbre. Proviamo piuttosto a immaginarli come parte integrante dei territori delle città medie, dei paesi e dei borghi che li circondano, capace di arricchire la qualità della vita di ciascuno dei suoi abitanti, uomini, animali e alberi, reciprocamente. Proviamo a sentirli come un grande essere vivente.

Ci sono otto comuni che circondano e comprendono il massiccio dei Martani: Spoleto, Terni, Acquasparta, San Gemini, Giano, Massa Martana, Castel Ritaldi, Gualdo Cattaneo. Per la prima volta stanno pensando ad un progetto di territorio, insieme. Potrebbe essere un’occasione unica per andare oltre e per iniziare a considerare quest’area come una bioregione, prima ancora che come un parco, come un luogo vivo, centrale, da condividere, come un luogo in comune dal quale trarre benefici, non solo economici, utili piuttosto a migliorare la qualità delle nostre vite e dell’ambiente.

La bioregione è un luogo con un’unità territoriale, dalle caratteristiche fisiche, ecologiche e storiche omogenee; soprattutto è un luogo nel quale dovrebbero essere predominanti le regole dettate dalla natura e non solo le leggi che l’uomo ha definito, dovrebbe essere cioè un luogo dove il patto tra la natura e l’uomo torni ad essere sacro, come lo è stato qui, su questi stessi monti.

Come tradurre quest’idea in interventi concreti? Dovremmo puntare a recuperare armonia con l’insieme dei territorio, con un’idea di lungo periodo, con lo spirito stesso del luogo. Dovremmo allontanarci dal concetto di privatizzazione di queste terre alte e delle loro risorse, che determina un ulteriore distacco tra i residenti dei paesi e delle città e la montagna. Serve piuttosto un approccio condiviso e comunitario, anche attraverso un aggiornamento e un’attualizzazione del modello delle antiche comunanze e dei domini collettivi, che peraltro ancora resistono in alcune aree dei Martani e con il supporto dell’associazionismo sempre vitale in quest’area.

Dovremmo cercare di costruire un nuovo rapporto tra i paesi, le città e la montagna che potrebbe essere declinato in molti e diversi modi: a livello di istruzione, innanzitutto, con un programma scolastico mirato, nelle scuole dei paesi e delle città pedemontane che incoraggi e accompagni la frequentazione del territorio narrato e spiegato agli studenti. Con la costituzione di gruppi d’acquisto nelle città e nei paesi per diffondere e incentivare le produzioni locali; con un serio programma di riutilizzo dei pascoli nelle terre alte che privilegi allevatori e produzioni locali, giovani e con progetti di medio-lungo periodo. Dovremmo puntare su un’ospitalità diffusa da realizzare solo attraverso restauri di edifici già esistenti, sostenendo in particolare le attività agrituristiche; soprattutto sull’attivazione di tutte le iniziative utili al rispetto degli equilibri ecosistemici; dovremmo incentivare il recupero e la valorizzazione di sistemi di coltivazione e di allevamento di qualità. Dovremmo valorizzare la cultura, la storia, la sapienza tramandata nei riti e nelle feste popolari del tempo ciclico. Dovremmo lasciare spazio agli sport all’aria aperta capaci di adattarsi agli spazi naturali. Dovremmo, in sostanza, recuperare il nostro luogo nella sua reale interezza, nella sua più profonda identità.

Gli otto comuni dei Martani, pur nella loro diversità, pur nella differente complessità delle rispettive comunità, hanno la fortuna di condividere una porzione di territorio selvatico, o semi-selvatico, di boschi, di pascoli e di storie ormai quasi dimenticate legate a questi luoghi che in molti, per decenni, hanno considerato residuali e privi di valore. Immaginarli come bioregione, significherebbe invece pensare i Monti Martani come il polmone condiviso dal quale trarre un respiro nuovo, oppure come un cuore utile a rimettere in circolo e a pompare sangue e vitalità. Ma è davvero possibile farlo?
(La foto di copertina è di un dipinto di Raul Sapora, Waves of stone, con il profilo dei Martani dalla città)

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